mercoledì, 24 Aprile, 2024
Sanità

Il sospetto del medico sul Sars covid2-19

Lavorando come medico in ospedale tutti i giorni, di questi tempi, sono per forza di cose concentrato sulle vicende che riguardano la peste da coronavirus, in particolare osservo tutti quei casi coinvolti o sospetti di infezione polmonare aspecifica che non risultano tipizzabili con i test che comunemente applichiamo per identificarli.

Premesso che chi entra in reparto è stato sottoposto ai tamponi specifici del virus ed è risultato negativo, va comunque ricordato che il periodo di incubazione dello stesso può variare e quindi sorge il sospetto che non tutti i casi presenti in reparto siano veramente negativi, è poi la clinica e le indagini radiologiche che possono accrescere il sospetto che siano appunto positivi.

L’aspetto radiologico tipico del glam glass del polmone, evidenziabile alla TAC del torace, fa nascere il dubbio che l’infezione in atto possa risalire a quella del coronavirus. Allora perchè questi pazienti non muoiono o vanno in terapia intensiva intubati?

Vanno studiati caso per caso perchè infine hanno dei denominatori comuni nelle patologie associate di cui soffrono e soprattutto nelle terapie croniche che hanno in uso.

Mi riferisco in particolare a quelli che soffrono di artrite reumatoide o bronchitici cronici o fibrillanti che hanno in terapia, cortisonici, immunoterapici e farmaci anticoagulanti di vecchia e nuova generazione. 

Molti di questi soggetti sopravvivono o manifestano la sintomatologia in modo non aggressivo e mortale, eppure sembrerebbero i candidati alla patologia polmonare del Sarscovid2-19, insomma dovrebbero rappresentare il suo bersaglio preferito, i più vulnerabili.

Il virus si diffonde attraverso il contatto diretto o attraverso l’aria, i polmoni sono il suo bersaglio primario e non ho dati per compredere se si può diffondere successivamente ad altri organi, sta di fatto che proprio nei polmoni provoca i danni maggiori e letali.

Il sospetto che i danni che provoca non sono direttamente e solo sul parenchima, ma anche e soprattutto sul sistema vascolare alveolare, con l’aspetto anatomopatologico tipico della vasculite emorragica.

Questo spiegherebbe in maniera empirica e clinica, sia il quadro radiologico della TAC polmonare, sia il supposto da me citato precedentemente a riguardo della resistenza alla sua aggressività da parte di chi fa uso di cortisonici, immunoterapici ed anche anticoaugulanti.

Se ci trovassimo di fronte ad un effetto mortale di una vasculite emorragica ecco che il piano terapeutico sarebbe sconvolto e dovrebbe essere mirato all’uso di cortisonici ad alte dosi oltre ad immunoterapici e soprattutto ad eparina in pompa infusionale, per fronteggiare gli effetti mortali che la stessa vasculite provocherebbe.

Gli scienziati, soprattutto i cinesi, hanno già trovato gli enzimi a cui il virus in questione si lega per penetrare le cellule da infettare e questa via ovviamente può aprire nuovi scenari sull’uso di farmaci mirati che ne ridurrebbero la virulenza, ma la buona clinica ha sempre insegnato e dato indicazioni altrettanto importanti per la soluzione a tante patologie trattate.

La mia osservazione non ha nessuna evidenza dimostrabile secondo la scienza, ma rappresenta solo il sospetto clinico di come si possa arginare l’effetto devastante che il virus ha verso l’apparato respiratorio coinvolto e che determina la morte dei soggetti infettati. 

Aspetto speranzoso i risultati delle ricerche in corso.

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