giovedì, 2 Maggio, 2024
Economia

Cartolarizzazione fiscale e prelazione per il debitore

Riforma della riscossione

Il Governo ha annunciato con grande enfasi – addirittura con dichiarazioni della premier Giorgia Meloni – la riforma fiscale: «una riforma attesa da 50 anni, la rivendico come le prime fatte dal governo con l’obiettivo di disegnare una nuova idea di Italia, più attrattiva… La riforma fiscale non è solo un ammasso di regole, ma uno dei perni attorno ai quali ruota il tessuto economico della nazione, uno degli strumenti attraverso i quali lo Stato può prosperare, mettendo le aziende nelle condizioni migliori per produrre ricchezza» ha affermato la Presidente del Consiglio. Precisando poi – dopo un accenno di polemica estetica sulla bellezza e bruttezza delle tasse – che la riforma è ispirata dalla «visione di un’Italia in cui il fisco sia un alleato per la crescita e lo sviluppo, con i cittadini che si sentono supportati dalle istituzioni e tutti remano nella stessa direzione per far crescere questa nazione», nonché dalla volontà di non far percepire lo Stato come un avversario: «questa è la scommessa culturale e i dati ci dicono che abbiamo ragione».

Affermazioni di principio assolutamente condivisibili e sulle quali non si può che concordare.

Il consenso, però, si incrina allorché si entra nel merito della riforma per cercare quel cambio di passo, culturale prima di tutto, così enfaticamente annunciato. Secondo la mia sempre opinabile opinione un mutato atteggiamento culturale dovrebbe manifestarsi innanzitutto ridando al contribuente – oggi un suddito nei confronti dell’Erario – la dignità di cittadino: con diritti inviolabile e muovendo dalla sua presunzione di onestà e buona fede, non dalla presunzione di evasore a priori.

Sotto questo profilo, almeno dalla lettura giornalistica del contenuto della riforma, non trovo grandi conferme. Semmai un po’ di paternalismo ed un fisco meno rigido nella riscossione: una maggiore tolleranza sui tempi e metodi di pagamento, mi pare sia la principale e più declamata novità della riforma, ma questo non credo sia sufficiente per rivendicare un cambio di cultura, in mancanza di una diversa considerazione del contribuente.

Naturalmente la mia è solo una sensazione generale.

Ci sono, però, due argomenti concreti nei quali – con la più assoluta modestia – vorrei dare un contributo, semplicemente come cittadino.

Il primo di essi concerne la tanto pubblicizzata “discarica” delle cartelle esattoriali di riscossione dopo il quinto anno. Un provvedimento utile all’Agenzia delle Entrate-riscossione che si sgrava così dall’oneroso e gravoso compito di inseguire pagamenti per lo più impossibili da riscuotere. La bozza dello schema di decreto legislativo sul riordino del sistema nazionale della riscossione, prevede che ciò avvenga automaticamente sulla base di scaglioni temporali.

Il cittadino-debitore, peto, non è in alcun modo considerato e rimane sullo sfondo, nulla mutando per lui se non in peggio. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, difatti, non rinuncia al credito, ma ne dismette l’attività di riscossione. Il credito viene rimesso all’ente creditore cui inerisce la specifica imposta. Questi può gestirlo direttamente, e fin qui, nulla quaestio: ma può anche cedere il credito ad un soggetto privato.

Il vantaggio per l’Ente è chiaro: si pulisce il bilancio e magari incassa pure qualcosa. Un po’ come avviene per la cartolarizzazione dei crediti incagliati delle banche. Gli Istituti di Credito li raggruppano raccogliendo un certo importo di crediti incagliati. Poi questi vengono ceduti, spesso ad un valore risibile, il 10, il 20%, a società di gestione proprie o estranee.

Saranno queste società “di recupero crediti” ad inseguire il creditore delle banche, lucrandoci sopra, perché certo vorranno guadagnarci.

Il vantaggio per la Banca è chiaro. Si pulisce il bilancio, recupera una qualche liquidità, risparmia sulle tasse, portandosi in perdita la minor somma ricavata. Il cliente della Banca, debitore incapiente, finisce spesso perseguitato dai recuperatori del credito.

Avevo annotato lo scorso anno in un mio articolo sull’argomento, che forse si sarebbe potuto prevedere per legge una prelazione a favore del debitore: se il mio mutuo residuo viene ceduto al 10% del suo valore potrebbe anche darsi che io possa riuscire a comprarlo in proprio, estinguendo così il mio debito. Sembra, però, che l’argomento sia tabù e che qualche parlamentare – qui destra e sinistra si appiattiscono – che abbia osato proporre tale prelazione abbia rischiato la candidatura.

Ma che neppure un ente pubblico debba offrire tale prelazione al cittadino debitore mi lascia molto perplesso: al Comune che si convince a cedere il credito per l’Imu non pagata, al 20% del suo valore nominale, dovrebbe essere imposto di offrirla in prelazione al debitore.

Mi sembrerebbe equo; addirittura giusto; finanche socialmente utile.

Il secondo argomento che la riforma non mi pare abbia affrontato è quello degli errori formali, oggi sanzionati come l’evasione.

Una differenziazione sarebbe necessaria e comporterebbe un dialogo che, oggi, non è neppure ipotizzabile e che richiederebbe – questo sì che sarebbe un segno di un mutamento culturale – che il contribuente possa parlare con un funzionario al corrente della sua posizione e responsabile della soluzione, in maniera più semplice di quanto avviene oggi. Magari anche con un ufficio che risponde al telefono o ad una semplice e-mail e che collabori col contribuente per rimediare al meglio all’errore: come, mi dicono, in qualche altro Stato occidentale avviene.

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