martedì, 7 Maggio, 2024
Regioni

Palermo dove l’amore può essere più forte dell’odio

 

Palermo è il palcoscenico di millenni di storia, è il Sud dell’Europa, un ponte con l’Africa, e come tutti i Sud del mondo, un luogo fluido e mutevole, aperto al cambiamento, destinato a un futuro contrassegnato da rapide e profonde trasformazioni. È una città che si presta a mettere in risalto l’essenza degli uomini, l’anima libera da divisioni derivanti da categorizzazioni politiche, etniche e religiose.

Quasi sempre si parla della Sicilia e di Palermo in termini di mafia e “Cosa Nostra”. Ma le vere “cose nostre” sono quelle che appartengono ai cittadini e che non sanno di possedere, persino quelle delle quali farebbero volentieri a meno. Le “cose nostre” sono come un astrolabio, indispensabile strumento di orientamento che ha funzionato per secoli, facendo sì che potessero essere conservate quelle caratteristiche in grado di garantire la sopravvivenza ai cambiamenti, pur cambiando sostanzialmente pochissimo (valga per tutti l’esempio gattopardesco: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»).

All’ombra del Monte Pellegrino, il rilievo montuoso di Palermo, i palermitani hanno parlato latino, greco, arabo, francese, spagnolo, inglese, italiano, pur conservando intatto il loro quid. La vita quotidiana di Palermo, il capoluogo della Sicilia, è ricca di sottoculture clandestine tipiche dei Paesi del Sud del Mondo. Dal venditore ambulante che grida ai passanti per invitarli ad acquistare i suoi prodotti, al macellaio, ai giocatori di briscola all’aperto, ai bambini profughi, agli immigrati e alle comunità missionarie che li aiutano, per finire persino alle corse clandestine dei cavalli.

“Quando la mafia si sveglia, all’alba, corre con i cavalli. Non sono ronzini e non sono purosangue, sono altre vittime di Palermo”, scrive il giornalista Attilio Bolzoni, che da sempre si occupa di criminalità mafiosa. Le corse clandestine di cavalli a Palermo si svolgono principalmente in due quartieri popolari, lo Zen e Ballarò. Già alle prime luci dell’alba tanti giovani ma anche qualche anziano, sono coinvolti nella preparazione delle gare. Sono per lo più tutti abitanti della zona; scommettono tra loro somme esorbitanti che finiscono nelle casse della mafia.

In Italia e in Europa stiamo assistendo al lento e costante insediamento definitivo degli immigrati. I figli degli immigrati, le cosiddette seconde generazioni, nati in Italia o giunti per ricongiungimento, si trovano a vivere “tra due mondi” in una condizione di pendolarismo perenne, e devono continuamente conciliare condizioni e status spesso troppo diversi. Vivono talvolta situazioni conflittuali sia coi genitori, spesso più legati ai valori culturali della terra di origine, sia con la società d’accoglienza, dove sono visti come stranieri anche quando – essendo nati in Italia o essendovi arrivati nella prima infanzia – di fatto non lo sono.

Questo progetto fotografico illustra con intensità e vividezza, ma anche con spontaneo senso artistico, alcuni momenti di vita quotidiana nel capoluogo siciliano attraverso un linguaggio visivo poco convenzionale. Si sofferma sulla vita delle strade come su quella degli immigrati, sottolinea come l’integrazione renda la società occidentale mediterranea maggiormente multiculturale e aperta rispetto al secolo scorso.

Per il professore Aurelio Angelini (Direttore Fondazione Patrimonio Unesco della Sicilia) “questo progetto di fotografia etica immortala volti, paesaggi, storie, riuscendo a mitizzare Palermo e la sicilianità, come rappresentazioni della natura e dell’umano, contrasto e sintesi nello stesso tempo. Questo ci permette di visitare il luogo senza spostarci e di vivere emozioni straordinarie. L’unicità spazio – temporale dello scatto, ci restituisce l’autenticità di un luogo come racconto e un racconto come una storia”.

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