sabato, 27 Luglio, 2024
Sanità

L’estate infernale degli ospedali poco personale, cure non garantite

Contratto medici, niente accordo. Pressing dei sindacati su Schillaci. Lorenzin e Calenda: emergenza non più sopportabile

La trincea è il pronto soccorso, sul campo c’è l’inferno delle corsie dove i medici e infermieri combattono in difesa del Servizio sanitario nazionale. “Il sistema è prossimo al collasso dopo oltre un decennio di definanziamento, chiusure di reparti, posti letto e servizi”, puntualizza l’Intersindacale medica che non intravede vie di uscita concrete e immediate. Per il rinnovo del contratto (2019-2021) che riguarda 130 mila medici non ci sono buone notizie. L’ennesima fumata nera nella trattativa con l’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) è annunciata dal segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio. “La trattativa è stata aggiornata alla prossima settimana. Manca ancora certezza sulla sorte dell’orario eccedente il debito contrattuale, né è precisato un cut off utile a limitarne in maniera netta l’utilizzo evitando ogni abuso”.

Lorenzin e Calenda, stop emergenze

Il rischio che l’estate – che segna un ulteriore tracollo delle presenze dei medici: si stima che quasi un terzo del personale sia già in ferie – passi senza che si definisca un accordo sul contratto. “Niente pre-intesa prima della pausa estiva”, commenta la senatrice Beatrice Lorenzin, vicepresidente del gruppo del Partito democratico. “Quando sosteniamo che senza fondi la grande questione della fuga dalla sanità italiana dei camici bianchi non si risolve, non è propaganda, ma un richiamo al realismo”, osserva Lorenzin. “Al Fondo sanitario mancano strutturalmente 7 miliardi e tra cui sicuramente 2 per adeguare e rendere attrattivi i contratti per la professione in Italia”. In pressing sulle trattative è il leader di Azione Carlo Calenda, che sollecita di “correggere le storture” e rilanciare il Sistema sanitario nazionale, in sinergia con le azioni previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. “La vera emergenza di questo Paese è la sanità”, sottolinea Calenda, “liste d’attesa infinite, visite arretrate, strutture fatiscenti. Non possiamo più permettercelo”.

L’impegno di Schillaci

A dover trovare una soluzione è il ministro per la Salute, Orazio Schillaci verso il quale le Organizzazioni sindacali nutrono fiducia. Sul tavolo del ministero ci sono le proposte dei medici definite “necessarie e urgenti e di immediato intervento”. Sono 10 punti: Abolizione del tetto di spesa per l’assunzione di personale; Riforma del DM 70; Riforma della legge 502 che proponga nuovi modelli organizzativi; Congruo finanziamento del contratto per il triennio 2022-2024; Defiscalizzazione di parte del salario; Intervento diretto che incida sulle condizioni di lavoro; Incentivi immediati per trattenere i colleghi nel servizio pubblico rendendo competitivo il confronto con le cooperative; Finanziamento dell’indennità di specificità per il resto della dirigenza; Finanziamento delle specializzazioni non mediche.
“Il Ministro Schillaci”, sottolinea l’Intersindacale medica, “ha ben compreso l’urgenza delle nostre richieste che riflettono una situazione non più sostenibile all’interno degli ospedali e dei luoghi di lavoro e attiverà da subito tavoli tecnici per condividere con le organizzazioni sindacali gli aspetti legislativi realizzabili a medio termine”.

Stipendi ultimi in Europa

Nel guado oltre i medici ci sono i cittadini alle prese con liste d’attesa interminabili che costringono migliaia di persone a rivolgersi ai privati, mentre chi non può permetterselo, rinuncia sempre di più a curarsi. “Siamo l’unico Paese tra quelli avanzati a ridurre il finanziamento del Sistema Sanitario”, denuncia l’intersindacale medica, alla quale partecipano le principali sigle sindacali dei medici, “spendiamo quasi la metà della Germania, un terzo in meno di Francia e Inghilterra, nonostante l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità”.

I numeri della crisi

Dal 2008 il Sistema sanitario nazionale ha perso oltre 40mila dipendenti anche se con le assunzioni straordinarie durante il Covid – soprattutto però contratti a tempo – c’è stato un mini recupero e oggi perla Sanità lavorano in 670mila. Per l’Intersindacale e le Organizzazioni di categoria del personale sanitario, il Ssn oggi è sotto almeno di 80mila operatori tra medici e infermieri. Stima tra l’altro prudenziale. Negli ospedali la situazione è di particolare difficoltà. Il calo dei camici bianchi diventa un crollo nei reparti di emergenza, come il pronto soccorso dove mancano 4 mila medici; il fronte degli specialisti ha un buco di 10 mila unità, che il Ssn deve recuperare affannosamente tra professionisti esterni; c’è la crisi dei medici di famiglia, ne mancano 5 mila, con famiglie che non sanno a chi appoggiarsi. Uno scenario di difficoltà e pericolose incertezze a cui si somma la carenza dai 60 ai 70mila infermieri. Figure professionali oggi determinanti nella assistenza in particolare nei luoghi fuori le aree urbane e dove non ci sono ospedali. Sono loro a intervenire in aiuto dei malati e soprattutto dei pazienti cronici. Sulla carta il Piano nazionale di ripresa dedica alle cure territoriali e agli infermieri un budget di rilievo, circa 7 miliardi. Parte delle risorse serviranno per riorganizzare gli infermieri che diverranno protagonisti nelle case e gli ospedali di comunità.

L’allarme, il caso Campania

“Siamo davanti a cifre che fanno rabbrividire”, commenta Lorenzo Medici, leader della Cisl Funzione Pubblica, “In 4 grandi aziende ospedaliere della Campania, su 2584 prestazioni sanitarie erogate solo 210 sono in regime pubblico, tutte le altre in intramoenia. In pratica meno del 10% di quelle complessive. Una follia, che questa regione, oberata fino al collo da liste d’attesa lunghissime, non si può più permettere”. Lorenzo Medici commenta i dati della ricerca effettuata da Cittadinanza Attiva, riferiti in particolare alla situazione determinatasi in 4 nosocomi campani tra i più importanti sul territorio. “Il Cardarelli”, spiega la Cisl, “dove sono state somministrate rispettivamente 1255 visite ortopediche in intramoenia e 112 nel pubblico; l’ospedale dei Colli, con 111 eco addome con la prima modalità e nessuno con la seconda; il Moscati di Avellino, con rispettivamente 979 e 7 visite cardiologiche; il San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona di Salerno, con 329 e 91 ecografie ostetriche”. “È chiaro ed evidente”, sottolinea il segretario generale della Funzione Pubblica, “che il sistema è imploso, al punto che l’intramoenia è diventata ormai, come il pronto soccorso, la possibilità di entrare negli ospedali per poter usufruire del servizio sanitario, l’accesso al quale nella nostra regione è sempre più un miraggio che un diritto, visti i tempi lunghissimi delle liste di attesa e la conseguente fuga altrove dei pazienti, con ulteriori costi per la comunità locale. L’intramoenia”, ricorda Medici, “venne statuita per offrire al cittadino l’opzione della scelta del medico, non come necessità per ottenere rapidamente la prestazione”. Che fare per eliminare queste storture, che hanno ricadute drammatiche a tutti i livelli? Medici non ha dubbi: “Bisogna potenziare il personale con un piano straordinario di assunzioni, adeguare ai bisogni reali le infrastrutture tecniche necessarie per le visite ed ampliare l’orario di apertura al pubblico degli ambulatori. Ma farlo subito, perché oggi si viola continuamente la norma del Piano Nazionale di Governo delle liste di attesa, ed al tempo stesso il principio costituzionale del diritto per ognuno di noi alla salute pubblica”.

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