martedì, 30 Aprile, 2024
Politica

Meloni, i toni in casa e la sostanza in Europa

Ogni volta che Meloni, a Roma, alza la voce sui temi europei si leva un coro che la accusa di nazionalismo e ostilità verso l’Ue. Ogni volta che Meloni, a Strasburgo, Parigi e Berlino tesse la sua tela diplomatica per ottenere risultati dai principali partner europei lo stesso coro la accusa di incoerenza e cedimento rispetto alla linea dura sbandierata in patria.
Il coro si sbaglia in entrambi i casi. Meloni può sostenere in Europa una linea duttile e portare a casa risultati apprezzabili solo se a Roma tiene compatta la sua maggioranza. E se per evitare smagliature deve fare la faccia feroce, da politica smaliziata, non se ne fa un problema.

Solo gli sprovveduti pensano che Meloni, parlando ai vertici europei o nei bilaterali con Macron e Scholz, usi gli stessi toni che maneggia con disinvoltura quando è in Italia. Il Presidente del Consiglio sa muoversi con un’abilità che sarebbe molto apprezzata dai vecchi leader -democristiani e non- della Prima Repubblica: avevano il senso dell’opportunità e usavano le parole giuste nei contesti giusti.

Per essere forte in Europa Meloni non deve avere smagliature tra i suoi alleati. Il suo prestigio personale dipende anche da come riesce a tenere a bada una maggioranza che è attraversata da sottili tensioni, giochi e giochetti che non sono l’eccezione nella politica italiana.

In concreto.

Il Mes: Meloni sa benissimo che un no pregiudiziale dell’Italia sarebbe difficilmente sostenibile, ma non può neanche di punto in bianco cambiare l’ atteggiamento da sempre molto critico verso questo strumento. Deve riuscire a dimostrare che l’Italia ha inserito il Sì al Mes nel contesto di una revisione più ampia di regole europee che non funzionano. Non si tratta di tirare la corda, perché potrebbe spezzarsi, ma si tratta di avvicinarsi al risultato migliore possibile per dimostrare che l’Italia ha una visione più organica e meno settoriale dei problemi europei. Questo significa essere contro l’Europa?

La Bce: Meloni ha avuto una palla alta dalla decisione testarda di Lagarde che accelera l’aumento dei tassi, incurante degli effetti depressivi che questo avrà s su una ripresa che proprio tanto florida non è. Questo significa essere contro l’euro o mancare di rispetto alla Banca che Draghi per 9 anni guidò per sostenere una politica di sviluppo e non di ottusa austerità?

I migranti: da quando è al Governo, Meloni non si è fatta prendere dal panico per il triplicarsi degli sbarchi ma ha puntato su soluzioni europee e non nazionali. Un po’ alla volta, ha ottenuto significative disponibilità da Parigi e Berlino e ha il sostegno pieno della presidente Von der Leyen. Significa per caso che l’Italia è più sola di prima nella gestione di questo drammatico problema?

Distinguere la forma dalla sostanza, contestualizzare i toni dei discorsi è un esercizio che se proprio non si può chiedere ai politici almeno si potrebbe esigerlo almeno da giornalisti e commentatori davvero indipendenti.

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