sabato, 27 Luglio, 2024
Cronache marziane

Il ritorno di Kurt

Il Marziano – come dovrebbe esser noto a chi segue questa rubrica – non è mai stato incline a raccontare le proprie personali vicende, tanto più stavolta, che ha marcato la propria assenza per oltre due mesi: così, quando ho tentato di chiedergli perché fosse tanto repentinamente sparito, ha risposto con un’alzata di spalle e ho capito allora che sarebbe stato inutile compiere ulteriori tentativi di soddisfare la mia ingenua curiosità.

Preferisco  riprendere il discorso così bruscamente interrotto, richiamando alla comune memoria il punto sul quale eravamo rimasti prima del silenzio e precisamente quello della metà del guado raggiunto nel corso del “lungo viaggio dentro la giustizia” che aveva fatto balzare sulla sedia i diversi protagonisti degli episodi che ho avuto l’ardire di diffondere fra i lettori de “La Discussione”.

Quel guado, per non diventare stucchevole, deve ora esser superato, senza nuovamente affidarsi – almeno in prevalenza – a singoli episodi di cronaca, ma andando oltre il fatto concreto (come fecero i giuristi romani dell’età imperiale) per astrarre, da ogni insieme di quei fatti, i materiali per costruire le fattispecie – non a caso, Species Facti – delle quali ancora oggi si servono le scienze giuridiche per porre le basi delle rispettive discipline privatistiche e pubblicistiche.

Solo così i fatti della nostra vita si potranno astrarre fino a diventare concetti e questi ultimi, a loro volta, si combineranno  per dare luogo ai fenomeni dai quali quelle medesime discipline esploderanno, fino a diventare le chiavi d’apertura delle dighe entro le quali ogni ordine politico tenta di contenere l’uso del potere che è chiamato a gestire lungo il fluire della Storia: per evitare innanzitutto che il potere stesso mostri al popolo – da cui vuol far derivare la propria sovranità, privandola di ogni carattere divino – il volto demoniaco di cui parlava l’Autore tedesco che pagò con molti anni di prigionia la diffusione dei suoi studi sulle forme di lotta per instaurare le dittature (v. Ritter G., Il volto demoniaco del potere, Bologna, 1958).

Così ragionando, ho provato a spingermi fino al punto di raccontare a Kurt come, storicamente, le maschere dietro cui ogni prepotenza del sistema si annida abbiano cercato una prima diga (agli inizi dell’età contemporanea) nel tentativo di Montesquieu di spezzare i poteri pubblici fra chi inserisce le fattispecie negli atti normativi e nelle norme e chi, invece, dovrebbe semplicemente applicare queste ultime.

Ma anche quel tentativo – che necessariamente presuppone come la responsabilità preceda il potere e non viceversa – è stato frustrato, nei regimi dittatoriali, sottraendo il legislatore al controllo dei propri sudditi e, nei regimi democratici, sottraendo invece chi deve applicare le leggi al controllo di chi le predispone.

Il caso italiano è, da questo punto di vista, emblematico e i diritti di libertà che la Costituzione socialdemocratica di Weimar ci ha consegnato, per ripeterli nella nostra Carta Fondamentale, continuano a subire ogni genere di lesione dall’assenza di responsabilità in capo a chi deve applicare le leggi e poco possono ottenere i generosi tentativi  attraverso cui la Corte Costituzionale tenta ogni giorno di limitare la portata del dislivello creato dalla distrazione dell’Assemblea Costituente nel delicato settore della distribuzione delle responsabilità fra i diversi titolari dei poteri pubblici.

Esemplare è quanto sta accadendo nel nostro Codice di Procedura Penale, ormai ridotto ad una gruviera dalle decine di interventi della stessa Corte, essendosi così giunti al paradossale risultato di sostituire la discrezionalità del legislatore con quella – accresciuta dall’assenza di paletti – dei giudici che dovrebbero operare secondo quel rito (impropriamente detto “accusatorio”, che – invece – è ben altra cosa).

Il Governo in carica ha promesso di intervenire per correggere la situazione, ma finora ai buoni propositi  non sono seguite le necessarie iniziative, nonostante la gravità della situazione imporrebbe di ricorrere addirittura alla decretazione d’urgenza, in attesa della auspicabile “riforma organica” di cui tutti continuano a parlare, come sempre si parla dell’araba fenice.

Il “lungo viaggio dentro al giustizia” continua dunque – attraverso questa rubrica – mutando forme e titolazioni, nella speranza di poter al più presto commentare atti normativi del Governo e del Parlamento: primo fra tutti quello della separazione delle carriere fra inquirenti e giudicanti, al fine di non più assistere allo spettacolo della confusione di ruoli che troppo spesso si manifesta fra gli uni e gli altri.

Spero dunque di intrattenere presto i lettori sull’attività del Governo e del Parlamento in materia di giustizia: perché continuo a credere nelle parole che ho sentito pronunciare in Parlamento; resta però il nascosto timore che possa aver ragione Kurt il Marziano, quando mi sbeffeggia per reiterata ingenuità, paragonandomi a quel Generale di Napoleone che non si arrendeva mai: nemmeno di fronte all’evidenza!

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