venerdì, 19 Aprile, 2024
Il Cittadino

Il realismo politico

C’era un tempo la realpolitik. Quell’atteggiamento realista e non massimalista di affrontare le cose, basandosi solo sulla pragmaticità e convenienza, a prescindere anche da questioni ideologiche. Un atteggiamento politico che i dotti nobilizzano facendolo risalire a Richelieu che invocò la “ragion di Stato” durante la Guerra dei trent’anni e a Otto von Bismarck, che coniò il termine, ovviamente tedesco.

Non si deve necessariamente presupporre una sua negatività, anche se somiglia di più ad un governo tecnico della cosa pubblica, basato sulla scelta più necessaria, con una attenta valutazione delle risorse a disposizione, ma soprattutto al mantenimento dell’equilibrio internazionale nel cui contesto si agisce e nell’equilibrio del potere tra nazioni.

C’era un volta e c’è ancora oggi la realpolitik, nonostante la rivendicazione, quale quella della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (l’uso del femminile non è una svista, né una sfida, ma soltanto un corretto uso dell’italiano verificato tramite fior di linguisti da me interpellati), di scelte finalmente politiche, da parte di un governo politico.

Al di là di questa affermazione il Governo Meloni si sta caratterizzando, in questi suoi primi passi, per una attività molto attenta e molto rassicurante per i nostri partner europei e mondiali; e, soprattutto, per BCE e mercati (autentici dittatori senza volto della nostra epoca).

Non è una sorpresa. Finanche il sottoscritto modestissimo cittadino l’aveva rilevato nel pieno della campagna elettorale nell’articolo “La (non) politica che non appassiona”, nel quale rilevavo non un dibattito politico, ma slogan, «declamazioni non per esprimere idee o tentare di convincere  qualcuno, ma soltanto per far capire ad un target ben definito di destinatari che una certa loro posizione potrebbe risultare compromessa se vincesse l’altra parte».

Insomma un conformismo generalizzato, in una cultura che definisce aprioristicamente quasi tutto, ponendo in una posizione di disadattamento chi non si adegua al pensiero dominante. Addirittura profetizzavo in quell’articolo come non ci fosse un modello di Stato da discutere, un’idea di società diversa: ma soltanto «impercettibili differenze di posizionamento in relazione ai medesimi temi: il Cnrr, i benefici dalla UE, le tasse».

Parto da questa constatazione di un adattamento del governo ad esigenze sovranazionali e ad una politica economica confinata entro ben precisi limiti, per dire dell’assoluta inconsistenza dell’opposizione e della mancanza di argomenti veri, reali e politici, da opporre alla maggioranza.

Non mi riferisco soltanto all’avvilente e subdola opposizione del M5S, appiattita sull’unico argomento del reddito di cittadinanza. Una soluzione che non piace neppure a sinistra e che, prima che si dimostrasse foriera di voti, tutti volevano abolire. Opposizione che ha come scopo non il contrasto al Governo Meloni, ma che ha il fine – da qui l’aggettivo “subdola” – di indebolire il PD.

Il quale partito, dai lombi inesorabilmente aristocratici, non ha remore ad indebolirsi da solo, come acutamente ha rilevato Paolo Mieli nei giorni scorsi, chiosando sulle indecisioni ed incertezze per la nomina di un vero leader: figura che da quelle parti – dopo l’esperienza di Renzi (l’ultimo politico italiano che abbia avuto il fegato di proporre una sua idea di Stato) – rifuggono come una autentica iattura, preferendo scovare e nominare qualche Cincinnato, rassicurante per tutti, per il non avere effettive ambizioni di comando.

Neppure la sinistra estrema (unita per l’occasione elettorale estiva con una parte di Verdi) riesce a trovare una linea di opposizione, salvo il rispolverare la politica del “no” a tutto. Ingessata in un trito giustizialismo sembra riuscire a discutere solo della moda eccessivamente seguita dalla moglie dell’On. Aboubakar Soumahoro: coinvolto, fino alle dimissioni, in una polemica alquanto squallida, nella quale non si ipotizza alcun suo reato, ma la frequentazione con la moglie e con la suocera indiziate – solamente indiziate: non risulta alcuna condanna – di malversazioni nella gestione di cooperative.

Fatto che dimostra la barbarie in cui il nostro sistema è caduto, con l’abrogazione di fatto del principio della presunzione di innocenza e la misura dell’intero sistema sociale in base al giustizialismo, basato non sulle prove, ma sul mero sospetto.

Così che la prova – assoluta, tale da togliere anche il più insignificante dubbio (che sarebbe sufficiente da sola, in ogni caso, a portare all’assoluzione) – viene richiesta solo nel processo penale: altrove si sciolgono comuni, si confiscano beni, si uccidono attività economiche sul semplice sospetto: Tizio è stato visto con Caio che, benché incensurato, è sospettato di delinquere; ergo l’impresa di Tizio deve essere confiscata.

Lo stesso genere di accusa rivolta all’On. Aboubakar Soumahoro: frequenta la moglie che forse delinque, ergo per il (non codificato) reato di parentela e di coniugio deve lasciare libero il seggio ad un bianco ed illibato compagno.

Ecco finalmente un argomento politico che qualcuno potrebbe cogliere: riformare realmente il barbaro sistema (non solo la Giustizia, quindi) che si è creato in questi ultimi trent’anni.

Ma è un argomento molto politico che non paga, che rischia di scontrarsi con un’opinione pubblica che richieda barbaramente un colpevole qualsiasi (Gesù Cristo, lo ricordo sempre, è l’emblema dell’innocente e del giusto condannato per soddisfare la folla) e che soprattutto determinerebbe un vero scontro di potere che, probabilmente, né il Governo, né l’opposizione sono pronti non dico a vincere, ma neppure a sostenere. E questa è propriamente realpolitik.

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