venerdì, 26 Aprile, 2024
Attualità

Chi è l’uomo forte desiderato dal 49% degli italiani?

Ha destato scalpore e preoccupazione il dato diffuso dal Censis secondo cui quasi la metà degli italiani è a favore di un “uomo forte” ai vertici del potere politico.

C’è da preoccuparsi? È il sintomo che l’Italia è pronta a gettarsi nelle braccia di un dittatorello avventuriero o di un emulo di Orban o Putin? La storia insegna che i fenomeni socio-politici non sono mai prevedibili nei loro sviluppi e che la lungimiranza di pochi, nell’individuare per tempo i rischi di certe tendenze, è spesso derisa o sottovalutata.

Fu così col fascismo e col nazismo. È così anche oggi, con tutto quel che sta succedendo in alcuni Paesi europei e un po’ dovunque nel mondo libero?

Alcuni studiosi hanno lanciato un segnale di allarme. In un importante volume, due docenti di Scienze Politiche di Harvard descrivono “Come muoiono le democrazie” facendo riferimento ad una serie di dinamiche innescate, in gran parte, dai vari populismi che sorgono come funghi un po’ dovunque.

In Italia un dibattito serio su questo tema, in realtà, non si vede all’orizzonte.

Tutto viene ridotto alle accuse di fascismo rivolte ad alcuni esponenti della destra e respinte con sdegno dai destinatari che, per sovrappiù, deridono chi gli affibbia questa etichetta.

Gli accusati hanno gioco facile nel dire che il fascismo è passato e non tornerà e che loro non hanno niente a che vedere con quel fenomeno politico. Sicché, riducendo ad uno scontro tra fascisti e antifascisti il confronto sulle tendenze in atto nella vita politica italiana, il dibattito evapora nel volgere effimero degli schiamazzi dei salotti televisivi.

Mettiamo un po’ di ordine.

Il fascismo ha avuto caratteristiche legate ad un delicato e tormentato passaggio della nascita dello Stato italiano che non sono comparabili all’attuale situazione politico-sociale. Fare continuamente riferimento al fascismo rischia di deviare l’attenzione dai rischi concreti e inediti di alcune tendenze in atto nella politica italiana e di offrire argomenti-speciosi- a chi vuol fugare ogni ombra dal proprio comportamento che rimane comunque meritevole di attenzione critica.

Agli inizi degli anni Ottanta, dopo un decennio di terrorismo, grande instabilità politica e profonda crisi economica, con un’inflazione che aveva raggiunto il 20%… si diffuse un bisogno di forti personalità politiche. Fu allora che Giuliano Amato cominciò a ipotizzare, da sponda socialista, un possibile presidenzialismo, termine tabù per la sinistra e invece serenamente adottato da grandi antifascisti come il repubblicano Randolfo Pacciardi, oltre che da nostalgici del regime come Giorgio Almirante.

L’avvento al potere di Bettino Craxi segnò un netto passaggio verso quello che, in maniera sprezzante certa sinistra definì “decisionismo”: un modo di gestire il potere con coraggio e determinazione rispetto alle continue e inconcludenti mediazioni cui eravamo abituati. Il tanto criticato “decisionismo” di Craxi non aveva nulla di antidemocratico né costituiva una forma di coercizione del confronto e di limitazione delle libertà: era solo un modello di azione concreta basato sull’assunzione di scelte difficili senza fughe dalla responsabilità. Tale fu la decisione di tagliare 4 punti della “scala mobile” che iper indicizzava i salari provocando inflazione, adottata con decreto legge il 14 febbraio 1984 (il decreto di San Valentino). Si gridò allo scandalo, Enrico Berlinguer propose un referendum abrogativo che confermò la validità della scelta “decisionista ” di Craxi, l’uomo forte di quel momento, ma nessuno accusò mai di “fascismo” il leader del PSI che pagò in maniera esagerata e ingiusta una serie di errori commessi anche da altri che sopravvissero alla sua fine.

Il desiderio di “uomo forte” anche oggi è in parte la manifestazione di un rifiuto del chiacchiericcio vacuo e nebbioso della politica che rinvia la soluzione dei problemi e si accontenta di slogan, analisi superficiali e parole al vento.

Ma di uomini forti in grado di interpretare questo aspetto legittimo e positivo della domanda di una “democrazia che decide” non se ne vedono ormai da almeno 30 anni.

La diffusione di una forma di antipolitica, iniziata con Berlusconi e proseguita in maniera ondivaga per molti anni è sfociata, di recente nel populismo di Grillo e dei suoi Vaffa days.

Ma quel populismo ha dimostrato presto la sua vacuità proprio mentre si affermava la leadership di Salvini, che ha infarcito il populismo con una serie di ingredienti tipici di una destra intollerante, rancorosa, ostile verso “l’altro”, con una dose di nazionalismo straccione che fa rivoltare nella tomba un campione dell’esaltazione di questi temi come D’Annunzio.

Il desiderio di uomo forte, in questo mix di populismo, nazionalismo e intolleranza sta diventando qualcosa di profondamente diverso dalla richiesta legittima di “una democrazia che decida”: sta nascendo una pericolosa tentazione autoritaria che poco a che vedere col vecchio fascismo e molto di più con una forma di democrazia totalitaria, plebiscitaria, basata sulla sopraffazione, anche senza l’uso della violenza fisica.

È un tema su cui La Discussione tornerà con altre riflessioni.

Una conclusione parziale: in quel 49% di italiani che vogliono un uomo forte meno della metà cerca un dittatore o un despota. Gran parte cerca solo di essere governata bene, con poche parole e molti fatti. Ma se questo non succederà il rischio che anche chi non vuole il despota possa subire il fascino della tentazione totalitaria rischia di aumentare.

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