giovedì, 18 Aprile, 2024
Politica

Patto salute, niente firma, lite Regioni e Governo

Patto per la salute, scontro tra Regioni e Governo. C’è aria di lite e i toni sono già sopra le righe “Siamo arrivati al punto che le Regioni al tavolo degli adempimenti vengono trattate come ‘delinquenti’”, attacca Stefania Saccardi, assessore alla Sanità della Regione Toscana. “Il Patto deve essere equilibrato e frutto di un’intesa”, spiega Luigi Icardi, assessore alla sanità, della regione Piemonte e coordinatore sanità delle Regioni, “le proposte relative al commissariamento stanno diventando un problema perché creano difficoltà soprattutto a quelle Regioni che sono in piano di rientro. Accettarle si tradurrebbe in un elevato rischio di non uscire più dal commissariamento. Siamo disponibili a controlli sui Lea così come su tutto il resto, ma usando strumenti diversi dal commissariamento”. Con toni diversi tra il polemico, la sfida e l’apertura di fiducia, gli assessori regionali d’Italia chiedono al Governo e al ministro per la salute, Roberto Speranza, più attenzione alle loro richieste e meno restrizioni. Un compito non facile perché con il declino dell’Italia mancano risorse ovunque e la sanità è il settore più a rischio, dove, inoltre, si concentra il maggior deficit nazionale. Il prossimo 31 dicembre 2019, segna la data ultima per la sigla del Patto per la Salute, una ipotesi di accordo che si è trasformata in terreno di sfida, di tensioni e rotture. Firma che le Regioni non danno “assolutamente per scontata”.

Per fine mese, infatti, le Regioni dovranno accettare tutte le misure previste per il prossimo triennio alla quale sono vincolati gli aumenti del fondo sanitario previsti dalla legge di Bilancio. Il ministro Speranza si era detto fiducioso che l’accordo si potesse raggiungere in tempi brevi ma nell’incontro “Forum Risk Management”, tenuto a Firenze, è arrivata la brusca frenata dalle Regioni riunite nella Commissione Sanità, presenti assessori e direttori dell’assessorato di quasi tutte le Regioni italiane. Alla levata di scudi hanno partecipato oltre a Luigi Icardi, Stefania Saccardi, assessore alla Sanità della Regione Toscana, Giulio Gallera, assessore al Welfare Regione Lombardia, Sonia Viale, assessore alla Sanità della Regione Liguria, Kyriakoula Petropulacos, Dg Cura Persona Salute e Welfare Regione Emilia Romagna, Enrico Coscioni, Consigliere alla Sanità della regione Campania, Maria Letizia Di Liberti, Dirigente generale Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato Regionale Siciliano, Mario Nieddu, assessore alla sanità Regione Sardegna, Vito Montanaro, Dg Assessorato alla sanità regione Puglia, Luca Coletto, assessore alla salute della Regione Umbria.

I punti di contrasto, che al momento fanno dire agli assessori che la firma non si può dare assolutamente per scontata, sono le nuove regole per il commissariamento, i tetti per la spesa del personale e le ipotesi sulla mobilità sanitaria. In ballo inoltre c’è l’aumento di 2 miliardi per il fondi nazionale, soldi che però se non ci sarà un accordo saranno bloccati.

Gli assessori nicchiano, c’è chi pensa a spostare al 2020 il confronto e un eventuale accordo e chi spera di spingere il Governo a un compromesso tra le tesi “Salute e Mef”, che in qualche modo venga incontro alle richieste regionali.

“La volontà delle Regioni e del Ministero è quella di cercare di chiudere la partita del Patto per la Salute entro il 31 dicembre”, osserva Icardi, “questo non solo per il pericolo che i 2 miliardi in più sul tavolo possano essere messi in discussione, ma anche per la delicatezza dei temi toccati da quest’intesa. Sono emerse alcune criticità che saranno messe nero su bianco attraverso un verbale in cui chiederemo al Ministero le dovute correzioni”. Dura e battagliera l’assessore della Toscana che non fa sconti né al Governo tantomeno al ministro Speranza.

“C’è un Rapporto irrisolto tra Salute e Mef”, osserva Stefania Saccardi, “Siamo arrivati al punto che le Regioni al tavolo degli adempimenti vengono trattate come ‘delinquenti’, eppure nonostante la scarsezza dei fondi sono riuscite a garantire i Lea e, in alcuni casi, anche qualcosa in più, come in Toscana dove offriamo servizi aggiuntivi sul fronte socio sanitario. Il sistema quindi fin ora ha retto grazie agli sforzi delle Regioni e alle modalità con cui hanno saputo gestire il sistema. In questo scenario uno dei grandi nodi ancora da sciogliere nel Patto per la salute è la questione del personale: facciamo ancora fatica a trovare soluzioni adeguate”. Per la Saccardi ci sono incongruenze e tentennamenti che espongono in prima linea le Regioni.

“L’apertura del numero chiuso a medicina non è una soluzione e anche sul numero dei posti di specializzazione non ci siamo proprio”, sottolinea polemica, “Sono le Regioni che devono dire di cosa c’è bisogno, non il Miur. Se non si capisce questo corriamo il rischio di fare solo ragionamenti teorici. I limiti imposti sulle assunzioni di personale sono ai margini di costituzionalità, non si può pensare di imporre paletti anche alle Regioni che hanno i conti in ordine. Non dimentichiamo poi che le Regioni sono responsabili dell’organizzazione del sistema: stiamo quindi assistendo ad un’ingerenza forte nell’autonomia regionale. Su questo punto, quindi, ancora non ci siamo”. Basta “contenimento della spesa”, per la Lombardia che chiede un nuovo metodo di confronto.

“In passato il rapporto Regioni-Governo è stato contraddistinto dalla necessità di contenimento della spesa. Oggi siamo in una situazione molto diversa”, osserva Giulio Gallera, assessore al Welfare Regione Lombardia, “e questo Patto deve avere un obiettivo differente: dobbiamo passare dalla fase del contenimento della spesa a quella del mantenimento dell’universalismo del sistema sanitario. L’uscita dall’ospedalecentrismo o l’utilizzo dell’innovazione sono elementi che ciascuna Regione sta cercando di attuare. Senza una diversa organizzazione il sistema sanitario non avrà più la possibilità di garantire a tutti i farmaci più innovativi e i migliori macchinari negli ospedali più grandi. Il rischio è che questo Patto contenga ancora un approccio basato sul contenimento dei costi”. Diverse le cose da mettere a punto, invece per la Regione Liguria. “Tra le Regioni c’è sempre stata una forte collaborazione che trova il suo momento clou nel riparto del Fondo sanitario”, ricorda Sonia Viale, assessore alla Sanità della Regione Liguria, “abbiamo sempre trovato degli equilibri e, nonostante le diversità, siamo riusciti ad andare incontro alle esigenze di tutti. Oggi sono in difficoltà ad affrontare un Patto che mette le Regioni sul banco degli imputati. L’introduzione di parametri che portano al commissariamento non solo delle singole Regioni ma delle Asl, non aiuta. La programmazione della sanità è competenza regionale rimasta nonostante un tentativo di scardinarla. Dobbiamo cercare un percorso di condivisione”.

Passi avanti sono stati fatti per l’esponente della Regione Emilia Romagna, “Ritengo che l’ultima versione del Patto contenga anche elementi positivi”, sottolinea Kyriakoula Petropulacos, Dg Cura Persona Salute e Welfare Regione Emilia Romagna, “il Patto prova proporre un percorso che potrà aiutare a fare un passo avanti. Purtroppo di fronte a aperture come questa, il Mef impone un saldo zero tra costi incrementali e decrementali impossibile da raggiungere in una fase iniziale. Rigidità come questa hanno bloccato il sistema negli ultimi anni. Occorrerebbe un po’ di fiducia in più”. Apertura al dialogo per Enrico Coscioni, Consigliere alla Sanità della regione Campania,che trova i margini per un accordo. “Va dato merito a questo Governo e al Ministro di avere impresso una forte spinta all’avvio dei lavori del Patto, cosa che con il precedente Governo non eravamo riusciti a fare”, rivela Coscioni, “Abbiamo fatto importanti passi avanti per abbattere quei paletti non più accettabili sul tetto del personale e sui vincoli di spesa per gli obiettivi di Piano, vincoli inaccettabili anche per le Regioni virtuose. È stata fatta un’apertura di una certa flessibilità anche sul privato accreditato”. Critiche invece arrivano dalla Sicilia che non ci sta ad essere “bacchettata”.
“Come Regione a Statuto speciale prima in piano di rientro e oggi in piano di consolidamento ci sembra che l’atteggiamento, soprattutto da parte del Mef, sia quello di continuare a “bacchettare” senza tener conto di tutti gli sforzi compiuti. In Sicilia”, osserva Maria Letizia Di Liberti, Dirigente generale Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato Regionale Siciliano, “abbiamo avuto 10 anni di blocco delle assunzioni, tetti di spesa fermi al 2004 e nonostante tutto questo abbiamo conseguito un punteggio Lea pari a 165. Il commissariamento, così come previsto nel nuovo Patto, non tiene conto dell’impegno profuso dalle Regioni in questi anni”.

Tra le voci critiche e pronte a dare battaglia in “ogni sede”, la Regione Sardegna. “Il Mef non può pensare di sostituirsi agli assessori alla sanità, ma questo è quanto traspare dalla bozza del Patto. La proposta della modifica delle percentuali per l’entrata in commissariamento non è accettabile”, attacca Mario Nieddu, assessore alla sanità Regione Sardegna, “soprattutto per le regioni autonome. Per quanto ci riguarda daremo battaglia in tutte le sedi se dovesse manifestarsi questa posizione. Da modificare anche i criteri del Dm 70: sono una camicia di forza in particolare per una regione come la Sardegna con una conformazione oro geografica complessa che non consente di adeguarsi. Ci aspettiamo inoltre che il Patto dia risposte importanti sul fronte del personale allargando il numero di specialisti. Rimane comunque il fatto che il Mef ci chiede di tagliare, ma poi chiede nella griglia Lea parametri a spesa crescente. Anche questa è una contraddizione che andrebbe risolta. E ancora, per quanto riguarda l’integrazione con il socio sanitario i rischi che i costi del sociale si riversino nel sanitario sono elevatissimi, la proposta andrebbe quindi andrebbe rivista”.

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