giovedì, 25 Aprile, 2024
Manica Larga

Big tech: giganti dai piedi d’argilla?

Big tech ancora più sotto i riflettori. In quella che sembra essere diventata una Twitter saga con il mattatore Musk al centro della scena e il grande tema sulla libertà di espressione a fargli da contorno, in questi giorni ha fatto notizia la fuga degli investitori da Spotify. Dopo Netflix, anche il leader dello streaming musicale svedese ha visto il valore delle proprie azioni perdere valore.

Quanto sta accadendo solleva più di qualche domanda sulla solidità dell’industria dei contenuti online. Per intenderci, perché quelli che sembravano essere diventati degli assiomi del panorama industriale globale presente e futuro oggi sembrano meno solidi di ieri?

Non solo trimestrali

Colpa delle trimestrali? Queste sicuramente giocano un ruolo nella percezione degli investitori, ma potrebbe non bastare a farsi un’idea. Se it always depends – come recita l’antico adagio del mondo degli affari – proviamo dunque a mettere sul tavolo qualche spunto di riflessione.

Uno di questi è sicuramente il mercato. Per quanto grande possa diventare ci sarà comunque un limite alla crescita e se il consumatore, cioè tutti noi, ci troviamo di fronte a una sovrabbondanza di offerta, è verosimile che la domanda, ovvero i nostri abbonamenti, cali.

Così sembra essere accaduto per Netflix che deve oggi vedersela con concorrenti ricchi e solidi come Disney, per esempio. In questo scenario, uno degli elementi di riflessione potrebbe essere diversificare la propria offerta per trovare un proprio spazio di nicchia.

Per cui, la domanda potrebbe diventare come farlo in un contesto che vede queste piattaforme nate già globali e presenti praticamente su ogni dispositivo con una varietà di offerta che non lascia troppi margini per miglioramenti incrementali peraltro in un contesto concorrenziale già super diversificato.

Ripensare i modelli di business: ma quali?

Una chiave potrebbe dunque venire dal ripensamento dei modelli di business, ma anche in questo senso ci sentiamo intrappolati in una catch-22. Per esempio, i modelli basati sulla pubblicità a cui Netflix a detto di voler guardare sono deboli ed esposti ai cicli economici.

In altri termini, in un momento in cui la gente spende meno perché fare la spesa costa di più, le aziende cercano di compensare il calo sul fronte dei ricavi tagliando i costi, marketing in testa, per restare profittevoli. Ed è proprio guardando alla profittabilità che viene in mente che un’azienda come Spotify continua a perdere denaro, pur combinando adv e sottoscrizioni.

Allora la domanda è: ma non è che il modello alla base degli investimenti che mandano in orbita queste aziende dopo il primo vagito al grido di “Benvenuto futuro!” sia in fondo da rivedere?  Dopo tutto, Roma non è stata costruita in un giorno. Ma ancora una volta, it always depends da che punto di vista vogliamo leggere la storia.

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

Consumi, in Italia cresce il mercato degli snack proteici: +20%, fatturato da 2 miliardi

Maria Parente

Anziani, non solo investimenti per il loro benessere

Riccardo Pedrizzi*

Censis: l’Italia di oggi “molte scie, nessuno sciame”

Maurizio Piccinino

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.