giovedì, 28 Marzo, 2024
Cultura

“Come eravamo” di Bruno Tucci. Dal nostro inviato speciale… nel passato

Schietto, limpido, tagliente ma sempre denso di umanità. Lo stile è l’uomo. E così Bruno Tucci giornalista di lunghissimo corso, si racconta e ci propone in questo amarcord un reportage sulla professione giornalistica, com’era e come non è e non sarà più, purtroppo. Lo fa ricorrendo ad un semplicissimo espediente, per così dire letterario-giornalistico. Racconta di sé, delle tappe della sua progressione professionale agganciando ogni passaggio ad un evento importante della cronaca-storia del nostro Paese. E riproduce gli articoli che egli scrisse in occasione di quegli eventi. Non certo per narcisismo ma per “documentare” giornalisticamente i fatti. E dei fatti fanno parte anche le loro trasposizioni giornalistiche che selezionano ciò che avviene, scelgono un angolo di visuale, descrivono mescolando alla crudezza della realtà il calore delle emozioni che rimangono sullo sfondo della narrazione del vissuto.

Il libro si legge tutto d’un fiato. Ogni capitolo ha il respiro giusto. Per chi, come me ha vissuto gran parte di quegli stessi anni, è un’occasione per un tuffo nel passato in cui ripercorrere non solo eventi ma anche una galleria di personaggi del giornalismo e della vita pubblica italiana.

Bruno Tucci non ha peli sulla lingua e dà pane al pane e vino al vino, ma senza mai superare il limite del rispetto, virtù rarissima ai nostri tempi in cui la contumelia spesso gratuita ha preso il posto del garbo e della correttezza.

Il libro non vuol essere un saggio sull’evoluzione-involuzione del giornalismo. Ma un’appassionata celebrazione di un modo di essere di questa nobile professione che, molto probabilmente, ha dato il meglio di sé proprio nell’arco degli anni raccontati da Bruno Tucci, quando esistevano editori che sapevano fare il loro mestiere, e giornalisti che si sentivano investiti di una missione eccitante e piena di responsabilità.

Le trasformazioni tecnologiche sono andate di pari passo con un cambiamento radicale degli editori, sempre meno interessati al prodotto-giornale e distratti da altri interessi. E sono cambiati anche i giornalisti, incollati ai video terminali e poco propensi a mettere le mani in pasta nella realtà andandosi a cercare le notizie dove i fatti avvengono. Bruno Tucci racconta anche dei suoi 18 anni di presidenza dell’Ordine dei giornalisti del Lazio. E difende l’Ordine con argomenti validi. Qualche volta ne abbiano discusso insieme. E siamo d’accordo su un punto: l’Ordine ha senso solo se tutela i lettori da scorrettezze e inadeguatezze professionali dei giornalisti. Altrimenti è una corporazione autoreferenziale di cui si può e si deve fare a meno.

Grazie Bruno per questa bellissima testimonianza.

Bruno Tucci: Come eravamo – prefazione di Carlo Verdelli – All around – Roma 2022

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