venerdì, 29 Marzo, 2024
Politica

Le avventure delle democrazie tra popolo e classi dirigenti

La provocazione politologia, genere di scrittura che coltivo con passione, ha la forza di muovere le idee ed è spesso utile a suscitare la riflessione e a migliorare le buone letture del mondo.

Churchill affermava: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

Credo che Mr. Churchill, con questo suo lapidario pensiero, centrasse il cuore del tema sul quale oggi propongo una riflessione, ed è sempre motivo di grande soddisfazione, per me uomo di formazione liberalsocialista, constatare di essere d’accordo con un conservatore, ho fatto di questa ricerca una palestra di vita per meglio comprendere i confini delle grandi questioni sociali e mettere a fuoco gli strumenti di governo utili ad una democrazia evoluta.

Le democrazie liberali consolidate a cavallo fra ‘800 e ‘900 nei Paesi occidentali, costituiscono un incrocio complesso e contraddittorio ma virtuoso fra forma (diritto e libertà) e sostanza (egualitarismo e giustizia sociale) di un regime, democrazie che sempre contrapponiamo alle dittature, difendendo le prime perché garantiscono libertà e prospettiva riformatrice in direzione di una più compiuta giustizia sociale.

Il dibattito sulla democrazia nei secoli è tuttavia controverso fra grandi autori, sugli elementi di fragilità della forma di governo e sui suoi rischi.

Semplificando il percorso storico dei critici della democrazia, tutto inizia con un concetto negativo: democrazia come oclocrazia (il potere della folla, dal greco ókhlos e kratia) quale degenerazione della politìa (letteralmente “costituzione”, cioè la costituzione per eccellenza: governo di molti a vantaggio di tutti), dittatura della maggioranza, con riferimento all’antica Atene del VI secolo a. C. (così Aristotele, IV secolo a. C., definisce la democrazia: governo della plebe o dei poveri, inteso come dominio dei demagoghi). Due secoli dopo, a Roma, in un diverso contesto storico, Polibio, fra i primi grandi storiografi dell’antichità, confermava la visione aristotelica. E poi, molti gli autori della modernità intervenuti sul tema ma limitiamoci ad Alexis de Tocqueville (1805-59), grande pensatore liberale e sostenitore dei principi democratici che visse l’epoca delle grandi rivoluzioni democratiche e che non mancò di segnalare i rischi degenerativi del populismo e del dispotismo.

Di esempi nella storia contemporanea ne possiamo esibire tanti, a cominciare dalle vicende di statista dello  stesso Churchill che pur avendo governato il Regno Unito nei tempi terribili della seconda guerra mondiale e guidato la nazione alla vittoria contro il nazismo, fu travolto dalla volontà delle masse, sull’onda di un diffuso malcontento popolare dovuto alle condizioni sociali ed economiche del medesimo periodo bellico, che consegnarono il potere ai laburisti nella persona di Clement Attlee.

Nella contemporaneità, la nostra democrazia italiana, pur nell’attuale fortuna di prime cariche della Repubblica che ben presidiano quei ruoli, è teatro di molti passaggi delicati. Facciamo i conti con molte di queste forme degenerative, con fenomeni di decadenza del costume pubblico, con l’ascesa di ceti politici di bassa caratura nei ruoli medio-alti di comando nonchè con forme di pericoloso giustizialismo.

Concludo con un appello al popolo e alle classi dirigenti: la democrazia è la miglior forma di governo fra “… tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” ma occorre aver cura delle istituzioni, l’assenza di perizia e diligenza nelle scelte, sia nell’esercizio del voto, che negli atti politici, dall’organizzazione dello Stato alla pratica degli atti di governo, può sprofondarla in derive indesiderate.

Urge in Italia una iniziativa di classi dirigenti moderate, riformiste e mature che sappiano dialogare e conquistare fiducia e consenso popolare per la guida della nostra ancor giovane democrazia repubblicana, in una fase difficile del XXI° secolo, in una Europa ancora in crescita verso la piena maturazione politica, nella consapevolezza che il dialogo democratico fra culture riformiste unisce, rinsalda le istituzioni democratiche, consolida la Repubblica.

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