sabato, 27 Aprile, 2024
I dialoghi de La Discussione

Serve una cultura delle decisioni pubbliche

Il sistema globale di vasi comunicanti fra mondo sviluppato e mondo in via di sviluppo pone una questione centrale: va superato il grave ritardo di indirizzo, controllo, interdizione, progettualità degli Stati occidentali. Occorre far crescere dentro gli apparati statuali una nuova cultura del governo pubblico in Economia e nell’organizzazione della Società (1-2-3).

I profondi cambiamenti della struttura sociale pongono all’ordine del giorno nuove, inedite questioni, fra queste nuovi scenari riguardanti la giustizia sociale, la riforma radicale del welfare e il molto discusso “reddito di base” universale, quale forma reddituale che garantisca la dignità minima dei cittadini. Si tratta di questioni che pongo in modo aperto, senza certezze ma con attenzione ai cambiamenti, in cui tutto è diverso rispetto al ‘900.

Cambiamenti che sono da decodificare in chiave sociale, non solo scientifica e tecnologica, salvo valutarli essenzialmente in direzione della mera finanziarizzazione del capitale, ma ciò non è possibile. Oggi più che mai le strutture sociali tengono, e poco conta la scuola di pensiero economica o politica, se costruite su valori, obiettivi razionali di crescita e di coesione sociale. Senza tutto questo ogni struttura è destinata al fallimento. D’altronde, mai come prima nella storia, il primato della politica e il sapiente uso delle leve pubbliche rappresentano i grimaldelli decisivi per la soluzione dei temi sociali ma anche per la tenuta stessa del sistema economico e degli stessi sistemi democratici.

Potrebbe oggi un’impresa altamente innovativa resistere sul mercato in assenza di adeguate regole pubbliche?

La risposta è no, a meno che, e insisto, non si abbia come obiettivo la mera, quanto miope, finanziarizzazione della realtà produttiva. Le rivoluzioni industriali vanno governate per migliorare la condizione umana, capendo se, in questa fase dello sviluppo del capitalismo, esista un nesso fra le opportunità dello sviluppo economico e delle imprese da una parte e la condizione sociale di miliardi di donne e uomini dall’altra.

Qualcosa di simile si propose negli anni ’70 crescendo di centralità fino ai nostri giorni, mi riferisco al tema dell’ambiente.

Intendo sostenere dunque che la tutela della condizione umana e la tutela dell’ambiente siano questioni parallele e fondamentali da trattare nelle stesse sedi, a

prescindere dall’orientamento politico-culturale dei Governi, per segnare un’improcrastinabile inversione di tendenza nella storia dell’Umanità.

Le mie convinzioni maturate negli ultimi anni, lo ribadisco, sono ispirate all’ottimismo ma occorre lavorare tanto.

Sono certo che questo pensiero otterrebbe la benedizione di Papa Francesco, uomo che su questi temi è, al di là del suo ruolo di Padre della Cristianità, l’intellettuale più ricco e più lucido di questo inizio Millennio.

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