mercoledì, 24 Aprile, 2024
Attualità

Oggi il decollo di ITA. L’Italia “s’è desta”?

Il primo aereo targato ITA prende il volo. Con esso parte anche una grande scommessa: una potenza economica come il nostro Paese prova, per l’ultima volta, ad avere una compagnia di bandiera, dopo numerosi e ignobili fallimenti.

Per una singolare coincidenza, l’avvio di ITA coincide con una fase storica densa di significati: l’Italia, il Paese che in Europa ha subito le più gravi conseguenze economiche e sociali della pandemia, rialza la testa, eccelle nel controllo del virus e cresce più di tutti ad un ritmo da boom economico. Una fase positiva, piena di speranze.

Uno dei simboli di un Paese è proprio la compagnia aerea. Non è necessario averla, ma se la si ha deve essere all’altezza. Non è, dunque, improprio stabilire un legame tra il decollo di ITA e la ripartenza di questa Italia che, guidata da Draghi, “s’è desta”.

Come la vecchia Alitalia, il nostro Paese – ben prima della pandemia – aveva perso prestigio, si era impoverito, paralizzato da scarsa competitività, poca innovazione, litigiosità politica e declino economico e sociale.

L’emergenza sanitaria poteva essere il colpo di grazia. Con la forte solidarietà dell’Unione Europea invece, si sono aperte possibilità impensabili. Un fiume di denaro ci è stato destinato, ma dobbiamo spenderlo bene, rispettando rigorosamente tempi e procedure.

Da qui al 2026 l’Italia dovrà giocarsi il tutto per tutto. Non può e non deve sbagliare. Altrimenti sarà la fine.

Qualcosa di simile succede per ITA, anche se verso la nuova compagnia la Commissione europea è stata tutt’altro che generosa e ha imposto numerosi paletti. Ma era anche comprensibile, dopo l’enorme spreco di risorse pubbliche nei risanamenti mancati della vecchia Alitalia e che ora state bollate e sanzionate come aiuti di Stato.

ITA nasce snella, con 52 aerei che raddoppieranno entro il 2025, poco personale, contratti privi dei vecchi privilegi. Il piano industriale è solido e credibile. Il management è in buone mani guidato da un Presidente operativo di grande polso ed esperienza come Alfredo Altavilla. Insomma le condizioni ci sono tutte per ripartire con prudenza ma anche con grandi ambizioni. Ma serve qualcosa di più.

Serve che chi lavora in ITA si senta parte di una sfida da affrontare con serietà, professionalità, coraggio e senza spirito corporativo. Serve che lo Stato e i partiti evitino di considerare anche la nuova compagnia come una loro succursale da usare a fini clientelari o di consenso. Serve che i sindacati capiscano che l’unico modo per difendere i posti di lavoro è far si che i conti dell’azienda tornino e non siano un pozzo di san Patrizio.

ITA, con tutta probabilità, tornerà presto a chiamarsi Alitalia. Ne saremo tutti contenti. Ma vorremmo che prevalesse non la nostalgia ma il senso della discontinuità -non solo quella imposta dalla Commissione- ma quella necessaria per non commettere gli errori del passato.

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