La magistratura ha fatto quello che toccava alla politica fare. Così Angelo Bonelli coordinatore nazionale dei Verdi ha commentato la dura sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Taranto.
Il più grande risultato raggiunto con la sentenza è il riconoscimento di un nesso causale tra l’inquinamento prodotto e il tasso di morti e malattie cancerogene. È da questa consapevolezza che bisogna ripartire senza ulteriori indugi. I tempi della giustizia sono lenti, la sentenza di primo grado arriva dopo cinque anni di accertamenti e dibattimenti, ma le denunce per l’aria irrespirabile da parte dei tarantini affondano le radici nel passato remoto: quasi 70 anni di attività. Mancano ancora due gradi di giudizio e i tempi tecnici perché il sequestro della area di produzione a caldo sia davvero esecutiva non sono noti. E la politica non può lavarsene le mani.
ANCHE LO STATO NELLA PROPRIETA’
Nel 2018 la proprietà passa dai Riva, i principali imputati nel processo, alla francese AmInvestCo Italy, società di ArcelorMittal Italia. Il 14 aprile scorso entra in gioco anche lo Stato, attraverso una compartecipazione al capitale sociale di Invitalia, che ha sottoscritto azioni ordinarie per un importo pari a 400 milioni di euro e ottenendo diritti di voto al 50%. Pari, quindi, il potere decisionale. Ma nulla, dal punto di vista della salute pubblica, è cambiato, nonostante una sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo del 24 gennaio 2019 che accusa l’Italia di aver omesso di assumere le misure necessarie a tutela della salute dei cittadini perché nell’ordinamento interno non esistono rimedi effettivi per l’attivazione di misure efficaci per la bonifica dell’area.
SALUTE E OCCUPAZIONE: DUE RESPONSABILITA’ DELLA POLITICA
È impossibile ignorare l’altra faccia della medaglia della vicenda, l’aspetto occupazionale del territorio. Per i pugliesi, infatti, l’acciaieria è da sempre croce e delizia, motivo di sopravvivenza per migliaia di operai e impiegati, circa 8.200, e, paradossalmente, anche di mortalità anticipata per le esalazioni e le polveri sottili. Compenetrare entrambi i diritti costituzionali, alla salute e al lavoro, spetterebbe, più che a un tribunale, a quella che fino ad oggi sembrerebbe essere stata la convitata di pietra: la politica. Comprensibile la reazione aspra di Vendola, condannato, nonostante durante il suo incarico di presidente di Regione, attraverso leggi e regolamenti, abbia fatto molto sul fronte dei controlli dell’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico. Che la sentenza di oggi risvegli le coscienze di chi ha il potere di intervenire.