Quella di Unicredit è una storia a due facce. Da una parte, c’è la storia e la tradizione di un grande istituto di credito italiano che da sempre compete con Intesa-San Paolo per la leadership del settore. E dall’altra, c’è la sua regressione rispetto ai numeri del passato, che l’hanno portato a perdere la pole position. Ad aggravarne i conti, la fusione con Mps, un matrimonio non facile e pericoloso, così come ritenuto dall’uscente Ad Pierre Mustier.
Notizia (la sua probabile uscita), che ha dato il via a una impegnativa partita per individuare il nome di chi dovrà guidare il Gruppo a partire dalla prossima primavera.
Un lavoro certosino col compito di coniugare almeno due strategie: il rilancio dell’istituto e il rapporto con lo Stato (si legga con la politica, il Palazzo), che di fatto è il primo azionista.
Come noto, il Tesoro ha il 64% del controllo su Mps (valore in borsa, 1miliardo e 108 milioni). Unicredit, fino al 1994 è appartenuta all’Iri: capitalizza quasi 18 miliardi e vede un azionariato frastagliato, senza soci oltre il 3-4%. Sembrano solo numeri, ma in realtà tracciano tutta la complessità di questa fusione soprattutto in prospettiva. Comunque la si giri, alla fine sarebbe sempre lo Stato a controllare questo matrimonio.
E questo per restare al dato tecnico.
Intorno alla questione ruotano grandi interessi politici, destinati a mutare equilibri consolidati e sconvolgere assetti istituzionali.
Quali nomi al posto di Mustier (dimissionario e comunque in scadenza), che insieme al presidente Pier Carlo Padoan, sarà il responsabile della strategia finanziaria della banca milanese? Tra i nomi in cima alla lista, come riportato da tante dettagliate mappe giornalistiche, ci sarebbe quello dell’ex ceo di Ubi Victor Massiah. Dietro di lui Fabio Gallia, ex ceo di Bnl, Marco Morelli, ex numero uno di Mps oggi in Axa Investments, Marina Natale, ex Cfo di UniCredit e oggi a capo di Amco e Diego De Giorgi, ex capo del Global investment banking di Merrill Lynch.
Possibili candidati anche all’interno della stessa banca, come Carlo Vivaldi, co-chief operating officer, Francesco Giordano, co-ceo del Commercial Banking Western Europe e Niccolò Ubertalli, ce-ceo Commercial Banking Eastern Europe. Ma proprio nelle ultime ore la lista si è notevolmente allungata,dando il senso della partita in atto: Claudio Costamagna, Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Stefano Micossi, Ignazio Angeloni (gradito a Francoforte), Lamberto Andreotti, Lucrezia Reichlin. E dulcis in fundo, l’asso Sergio Balbinot, 62 anni, dal 2015 membro della Direzione di Allianz e appena rinnovato per un biennio ai vertici del colosso assicurativo tedesco fino al 31 dicembre 2022, un glorioso passato alle Generali e già con un posto nel consiglio di amministrazione di Unicredit.
Sergio Balbinot, secondo indiscrezioni potrebbe guidare da presidente quel progetto che come più volte esplicitato dallo stesso Mustier, porterebbe alla creazione di una sub-holding tedesca,in cui conferire tutte le partecipate estere, esclusa l’Italia, come anticipato dal Sole 24 ore il 19 luglio 2019. Lo schema di intervento si articola con il raggruppamento di tutte le attività extra-Italia sotto una sola holding che verrebbe localizzata in Germania, paese a Tripla A, dove il gruppo è presente con la controllata Hvb.
Ma al di là dei nomi, i nodi da sciogliere per il Gruppo sono tanti: Unicredit oggi vede più del 40% delle revenues e oltre il 50% dei profitti provenire da Germania, Austria e Cee (Europa centro orientale, Russia e Turchia). La banca dovrà sciogliere dilemmi di fondo, come ad esempio, continuare con i tagli e le cessioni come il risparmio gestito di Pioneer ad Amundi (Crédit Agricole), della seconda banca polacca Bank Pekao nell’unico grande paese Ue che non è mai andato in recessione dal 2008, della turca Yapi Kredi Bank in un paese di 80 milioni di persone con un’età media di 31 anni, del gioiellino tecnologico di Fineco, delle quote in Mediobanca o puntare a fusioni o acquisizioni? L’estero deve essere preservato, rafforzato, ridisegnato oppure ci si deve focalizzare sull’Italia? E nel caso di quale focalizzazione domestica si parla visto che le distanze con Intesa Sanpaolo si sono allungate?
E Pierre Mustier, che guida Unicredit dal 12 luglio 2016, artefice di un clamoroso aumento di capitale da 13 miliardi di euro poco dopo il suo arrivo? Ha ribadito in occasione di una conferenza S&P Global la propria linea di stare bene da solo. Ma è solo tattica o sono i titoli di coda?
Resta il dato che la politica non si è liberata dall’annoso dilemma: controllare tutto, ma non pagarne lo scotto.