giovedì, 26 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Zaki: tirannie, politiche e futuro… da onorevole

Stiamo tutti gioendo e siamo tutti compiaciuti, specialmente noi italiani, per la grazia concessa il 19 luglio dal presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi a Patrick Zaki lo studente egiziano arrestato poco più di tre anni fa, per accuse di istigazione alla violenza, proteste e terrorismo e condannato il giorno prima a tre anni di carcere, con sentenza non appellabile.

Sono le stesse parole, mutatis mutandis, con cui aprivo il mio quarto articolo su Zaki: «Stiamo tutti gioendo e siamo tutti compiaciuti, specialmente noi italiani, per il provvedimento di martedì 7 dicembre 2021 del Tribunale di Mansura, che ha disposto la scarcerazione di Patrick Zaki, lo studente egiziano arrestato poco meno di due anni fa, per accuse di istigazione alla violenza, proteste e terrorismo e che potrà aspettare il processo a piede libero» (“Zaki libero, ma la barbarie è tra noi”, 12 dicembre 2021).

Gioia per il caso singolo e per la sorte di Zaki che eviterà la barbarie del carcere (che in Egitto credo abbia solamente finalità punitive).

Ma anche la riprova più evidente, se mai ve ne fosse stato bisogno, del discorso che avevo appena concluso domenica passata sulla giustizia, sui suoi limiti e sull’asservimento al potere, nei regimi assoluti, allorché cessi l’autonomia di chi deve giudicare.

Quindi, gioia per la barbarie del carcere (ulteriore) evitato ad una persona innocente dal punto di vista del Diritto; ma colpevole e condannato, con una sentenza ineccepibile, resa secondo le (vergognose) leggi del suo Paese. Una sentenza che nonostante la sua esattezza e conformità legale, certifica l’inadeguatezza della giurisdizione.

Come ben sanno i miei quaranta lettori, uno dei miei rilievi più ricorrenti è che la legge non coincide col Diritto: per legge si mandavano gli ebrei nei campi dì concentramento.

Così, certamente, con riferimento all’Egitto le leggi che vietano, con sanzioni penali, anche solamente di esprimere dissenso rispetto al dittatore di turno. Perché a quelle latitudini, con la rivoluzione, si passa non da un tiranno alla libertà, ma solamente ad un altro despota.

Pericolo che negli Stati di Diritto si evita col controllo delle leggi, che non possono contrastare o limitare principi e libertà sanciti dalla Carta Costituzionale. Ma occorre che la Carta Costituzionale preveda quei diritti irrinunciabili e affermi quelle libertà intangibili. Ove ciò non esiste – dove la Costituzione è anch’essa una vuota legge che ignora e travolge la quasi totalità dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino o che, peggio, coincide soltanto con precetti religiosi – è l’assolutismo: non solo il volere, ma anche il sentire di chi detiene il potere, imposto ai sudditi. E guai a chi dissente.

Il giudice anche in quei Paesi applica la legge, ma non ha la forza, concessa al giudice italiano, di porre in dubbio la costituzionalità della legge: e, quindi, di non applicarla quando non la ritiene consona, salvo diversa pronuncia della Corte Costituzionale.

Il giudice della sentenza Zaki ha applicato la legge, senza porsi alcun dubbio. Esprimere dissenso al potere assoluto in Egitto è vietato ed è sanzionato: carcere sia.

Ci siamo tutti indignati di fronte alla condanna del 17 luglio, con la stessa conformistica indignazione che ci ha causato ogni provvedimento giudiziario legato al giovane ricercatore egiziano Zaki.

Scusate se ho un po’ rovinato la facile festa (alla quale hanno partecipato tutti, anche i più crudeli giustizialisti con i miei citati quattro precedenti interventi, nei momenti salienti della storia di Zaki.

In essi dicevo del fastidio ricavato dalla facile unanimità determinatasi fin dall’inizio sul caso Zaki («Zaki, noi, le leggi, il potere», 16 febbraio 2020), mal sopportando che tutti si riempissero la bocca con una facile tutela del diritto in Egitto, chiudendo completamente gli occhi sulla situazione giudiziaria e carceraria in Italia.

Ma anche, proseguendo la persecuzione giudiziaria di Zaki, col rilievo che in Egitto c’è sì un regime semi totalitario, una magistratura non autonoma e leggi liberticide («Zaki e la giustizia “serva”», 2 agosto 2020). Considerazione non vuol dire, però, che da questa parte del Mediterraneo siamo un esempio di civiltà. L’ammonimento biblico mi è quindi sembrato inevitabile («Zaki, la pagliuzza e la trave», 18 aprile 2021), perché bisogna aprire gli occhi anche sui nostri limiti e problemi, non soltanto su quelli degli altri: il nostro ordinamento – ma dal punto di vista giudiziario, mi azzarderei a parlare di regime – prevede la pena del l’ergastolo, che è inconciliabile con la finalità educativa della pena inumane; addirittura contempla l’ergastolo ostativo; prevede quell’autentica tortura che è il carcere del 41-bis; irroga la custodia preventiva in carcere di presunti innocenti, col solo scopo di indurli a collaborare, avallando le tesi accusatorie; si avvale di un sistema carcerario incivile, che è una autentica istigazione al suicidio. Il tutto in una situazione che vede lo Stato italiano condannato un migliaio di volte l’anno a risarcire ingiuste detenzioni.

Corollario della vicenda Zaghi è la grazia concessa dal Presidente al-Sisi: non per un impulso umanitario di quest’ultimo, ma per un’evidente trattativa politica-diplomatica. Una soluzione che, in un certo qual modo, giustifica l’impotenza della Giustizia: Zaki è stato giudicato colpevole. Il tiranno lo ha graziato, non certo per un impulso: chissà che accordo c’è sotto.

Ovviamente in carcere sono rimasti le decine di migliaia di egiziani detenuti con le stesse accuse di Zaki: constatazione che affievolisce la gioia per la liberazione del singolo: che poteva pure azzardare un pensiero per gli innumerevoli altri nella condizione da cui lui è sfuggito..

Mi auguro che la comunità internazionale si dia da fare ora  con la stessa solerzia usata per Zaki.

Mentre scrivevo ho appreso del rifiuto di Zaki dell’aereo offerto dallo Stato italiano.

Certo l’offerta del volo di Stato è un gesto con cui si voleva sottolineare l’attività politico-diplomatica che sottende alla concessione della grazia.

Ma il rifiuto è un gesto politico, furbo e italianissimo.

È solo fantasia prevedere per Zaki un futuro da onorevole?

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