Rischio mortalità al 2050 in aumento ROMA e Milano, rispettivamente dell’8% e del 6%, per effetto di una combinazione di temperature crescenti, dovute al cambiamento climatico, e della concentrazione di inquinanti nell’aria, come l’ozono e il PM10. È quanto emerge da uno studio realizzato da 11 ricercatori Enea provenienti da quattro diversi laboratori e pubblicato su Science Direct.
“Per il nostro studio abbiamo selezionato ROMA e Milano per la popolosità e per le differenti condizioni climatiche, socioeconomiche e di inquinamento. ROMA ha temperature più miti, un basso livello di umidità e alti livelli di ozono, mentre Milano, che si trova in una delle aree più inquinate d’Europa come la Pianura Padana, è esposta a temperature più fredde, ha un tasso di umidità più alto e venti più moderati, insieme ad alti livelli di PM10″, spiega Maurizio Gualtieri, ricercatore del Laboratorio Inquinamento Atmosferico dell’Enea.
“Queste sono tutte condizioni che possono avere un impatto significativo sulla salute e sul rischio di mortalità – aggiunge -. Infatti, il particolato atmosferico è riconosciuto come agente cancerogeno e rappresenta la prima causa ambientale di mortalità: secondo l’OMS il numero di decessi da inquinamento dell’aria è raddoppiato dal 1990 al 2019 raggiungendo i 4,5 milioni di morti, di cui il 92% a causa del particolato atmosferico e l’8% per l’ozono”.
Secondo lo studio Enea, realizzato grazie all’uso del supercomputer Cresco, nei prossimi decenni la città di Roma potrebbe raggiungere i 591 decessi l’anno durante i mesi estivi (l’8% in più rispetto ai decenni precedenti) a causa delle alte temperature e di una concentrazione di ozono troposferico (O3) al di sopra del valore limite per il danno alla salute umana (70 µg/m3). La fotochimica dell’atmosfera potrebbe, quindi, giocare un ruolo importante nell’aumentare il carico di mortalità estiva, in quanto l’ozono troposferico secondario raggiunge il picco nei mesi più caldi.
Nel capoluogo lombardo, invece, si stima che la mortalità sarà più alta durante l’inverno (1.787 decessi su 1.977 complessivi, pari al 90%) a causa del clima più rigido, delle maggiori concentrazioni di PM10 (oltre la soglia giornaliera di 50 µg/m3 fissata dalla Direttiva Ue sulla qualità dell’aria) per effetto delle maggiori emissioni da combustione e di condizioni atmosferiche stagnanti dovute alla geomorfologia e alla localizzazione di Milano. Sebbene il riscaldamento globale possa portare a condizioni che sembrerebbero vantaggiose a livello locale, come inverni meno rigidi e produzioni alimentari in aumento, nel complesso gli effetti su scala planetaria sono molto negativi in quanto comportano alterazioni degli ecosistemi naturali, eventi meteorologici estremi e impatti sulla salute umana come quelli studiati dai ricercatori Enea.
L’esposizione alle alte e alle basse temperature rappresenta uno dei fattori di stress più preoccupanti perché causa un aumento della mortalità, in particolare tra i soggetti più vulnerabili della popolazione come gli over 85 e, in generale, determina un’ampia gamma di effetti sulla salute che vanno dallo stress da caldo/freddo, colpi di calore e disidratazione, all’insorgenza o il peggioramento di patologie respiratorie e cardiovascolari.
Secondo lo studio, a Roma il numero di decessi dovuti alle temperature più alte (principalmente in estate) tra gli over 85 al 2050 è stimato in 312 casi su 1.398 annuali (22%) mentre a Milano è pari a 971 casi imputabili alle temperature più basse (principalmente in inverno) su 1.057 (92%).
Per condurre questo studio il team Enea ha messo a punto un modello di calcolo che integra simulazioni climatiche e di qualità dell’aria (Farm) a livello regionale con una risoluzione spaziale di 20 km2. Si tratta di un dettaglio spaziale molto elevato che ha permesso di valutare realisticamente la mortalità a livello di area metropolitana in Italia, attraverso modelli statistici di epidemiologia ambientale utilizzati dai ricercatori Enea.
L’Agenzia, infatti, possiede storicamente competenze di eccellenza sui modelli di cambiamento climatico, di dispersione degli inquinanti in atmosfera e di epidemiologia ambientale e, da alcuni anni, questi tre strumenti modellistici sono utilizzati in integrazione crescente per l’analisi e la valutazione degli impatti sulla salute umana e sugli ecosistemi, come dimostra anche questo studio.
“Abbiamo così ottenuto una migliore comprensione degli effetti combinati del clima e dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana al 2050, utilizzando come riferimenti due scenari IPCC che presuppongono, entro il 2100, un aumento della temperatura media globale che oscilla tra 0,4 e 0,8 °C nello scenario più ‘sostenibile’ (RCP2.6) e 3,3 – 4,9 °C nello scenario meno sostenibile di business as usual (RCP8.5)”, spiega Melania Michetti, ricercatrice Enea della divisione Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali.
“Oltre al miglioramento della definizione spaziale, abbiamo compiuto un ulteriore avanzamento con l’analisi degli effetti ritardati sulla salute umana per ciascuna città e per variabile di esposizione, ossia temperatura, ozono e particolato. Un punto di forza del modello, con cui è stato possibile calcolare fino a quanti giorni dopo il verificarsi di un evento meteoclimatico o di inquinamento la popolazione esposta ne subisce le conseguenze. Per entrambe le città il risultato è fino a 20 giorni per la temperatura e fino a 3 giorni per ozono e PM10. Questa metodologia, che è piuttosto versatile e potrebbe essere applicata a tutte le città italiane per specifici orizzonti temporali e scenari emissivi futuri, può essere estesa alla valutazione di altri inquinanti o indicatori di temperatura”, conclude Michetti.
I risultati dello studio evidenziano, quindi, l’urgente necessità di adottare politiche più rigorose e integrate in materia di qualità dell’aria e contrasto al cambiamento climatico, con il contenimento dell’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5° C entro il 2100, che permetterebbero di ridurre il numero di decessi di 8 volte a Roma e di 1,4 volte a Milano rispetto al periodo 2004-2015, senza dimenticare che il costante calo della natalità e l’aumento della longevità tipico dei paesi occidentali potrebbero favorire una maggiore vulnerabilità della popolazione italiana ai fattori di stress ambientale e climatico futuri. (Italpress)