venerdì, 29 Marzo, 2024
Considerazioni inattuali

Saman incatenata

A Novellara cercano ancora il corpo di Saman Abbas, la diciottenne pakistana che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata uccisa dallo zio in seguito ad un vero e proprio complotto di famiglia: tutti d’accordo. La ragazza aveva persino rivelato al fidanzato di aver udito qualche bisbiglio dei familiari: “uccidiamola” – le avevano poi detto che si trattava di un’altra, di una cugina. Saman si era ribellata: non voleva sposare un parente, come deciso per lei dal padre. La comunità islamica intanto si è dissociata da quanto accaduto, definendo “un’aberrazione” l’imposizione del matrimonio.

 

LA STRUMENTALIZZAZIONE DI UN CREDO IN FORZA DI UNA CREDENZA

Prima di essere uccisa, Saman ha vissuto una tortura quotidiana e psicologica: nel terrore che soffoca le intenzioni – ma in questo caso non la volontà – e nonostante ciò ha lottato; contro la collera cieca e impietosa di un dogma. Come Prometeo che sceglie deliberatamente di compiere quella che sembra un’azione scellerata, che preferisce l’uomo alla divinità – ma sarebbe meglio nel caso specifico, parlare di un principio terreno: che non offre libertà di scelta, che non consente all’individuo l’autodeterminazione, che non prevede la sana commistione tra diritti umani e purezza di qualsivoglia religione. Poiché esistono tradizioni autentiche di fede che nulla hanno a che fare con l’oppressione e la soppressione di un essere umano: che non strumentalizzano una fede, un credo in forza di una credenza.

 

SAMAN CHE AMAVA TROPPO LA VITA COME PROMETEO AMA GLI UOMINI

Ma Saman ha scatenato l’ira di questa credenza – come il Prometeo incatenato di Eschilo scatenò Zeus e la sua punizione esemplare: legato ad una roccia e tormentato da un’aquila che ne dilania il fegato, quotidianamente rigenerato. Il destino di Prometeo tanto quanto quello della giovane stabilitasi in Italia, è quello dei martiri; quello di chi in virtù di un valore, di un ideale, di un diritto da difendere non esita a ribellarsi, a rifuggire tiranni e castighi mortali. Simone Weil ne L’ombra e la grazia descriveva Prometeo come “il dio crocifisso per aver troppo amato gli uomini” – e noi oggi parliamo di Saman come di colei che troppo amava la vita, per accettarne una indegna di essere definita tale. Una vita che non sarebbe stata la sua: come tante altre già preordinate, vuote di anima perché prive del libero arbitrio di chi le abita.

 

LA SCELTA DI SCEGLIERE

Senza saperlo Saman ha compiuto un sacrificio: ha sacrificato sé stessa, proprio come fu per Prometeo che invece lo inventa. Un sacrifico che è una ribellione dai tratti inediti, con un valore diverso. Una sfida che è figlia della giustizia, del rispetto di sé stessa. Non c’è alcun tipo di caduta in questo caso, bensì il sapore del progresso. Nella tragedia eschilea, Prometeo stesso descrive la vita degli uomini alle origini come “infelice: vivevano nelle grotte al freddo, come formiche”; per affrancare l’umanità dalle sue catene ed affermarne la dignità, egli sfida la tirannia di Zeus, rivolge agli altri dèi l’accusa di essergli “servi”. E non è Zeus a punirlo in realtà, ma Prometeo che lo sceglie per non chinare il capo. Egli sceglie di scegliere e non di obbedire. Saman ha scelto di scegliere e di non sottomettersi all’assurdo, ha scelto di affermare sé stessa: la sua identità – e grazie a lei quella di tutte le ragazze che lottano ogni giorno legate ad una roccia, come “colui che riflette prima” (Προμηθεύς, Promethéus).

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