venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

L’Italia tra crisi e nuovo sviluppo. La visione di Paolo de’ Capitani di Vimercate: “Il futuro va progettato, ma ora servono aiuti e riforme”

Idee chiare per un futuro che sarà difficile, ma da cui si può uscire anche in modo migliore. Paolo de’ Capitani di Vimercate è un avvocato di lunga esperienza, dello Studio internazionale Uckmar, nei settori tributario e societario. Ambiti oggi che sono al centro di molte riflessioni e progetti per la ripartenza. Da attento osservatore della società nelle sue declinazioni sociali, economiche e politiche, spiega in questa intervista i prossimi scenari finanziari, imprenditoriali e occupazionali, che prevedono difficoltà ma anche riforme,  ci saranno piccole e grandi crisi ma anche importanti balzi in avanti che porteranno nuovo sviluppo, lavoro e benefici. L’importante nella visione di Paolo de’ Capitani di Vimercate è che ci sia voglia di crescere, studiare, migliorarsi perché il futuro è sempre nelle mani di scelte ponderate, di possibilità da cogliere.

Tempi complessi per società, imprese e famiglie. Non solo incertezze ma anche la difficoltà di vedere un futuro normale. Avvocato Paolo de’ Capitani di Vimercate, lei ha una grande esperienza e lavora in uno studio internazionale, in settori tributario e societario. Cosa ci riserveranno i prossimi mesi sul piano economico?
“Nel contesto politico attuale ci sono evidentemente alcune incertezze, ma le linee di fondo su cui il Governo dovrà muoversi sono quelle di un prorogato sostegno all’economia, e quindi, sul lato della spesa, ulteriori ristori legati alle restrizioni. Dal lato delle entrate Governo e Parlamento dovranno gestire nella maniera meno traumatica possibile – per ambo le parti del rapporto tributario – la questione del magazzino di accertamenti e cartelle che si sono accumulate negli ultimi mesi, e che in assenza di interventi rischiano di travolgere i contribuenti; alcuni dei quali, evidentemente, non potrebbero sopravvivere. E questo sarebbe chiaramente un danno per tutti, non solo per queste vittime. Non escluderei quindi una proroga del blocco delle esecuzioni e una nuova rottamazione e saldo e stralcio delle posizioni più problematiche, così come una nuova versione di rottamazione delle liti fiscali pendenti, particolarmente di quelle che oggi zavorrano l’operatività della Cassazione tributaria”.

A suo giudizio quali imprese soffriranno di più per il protrarsi della crisi? Le piccole e medie aziende, le grandi società o gruppi di affari?
“Temo che la divisione non sia da farsi solo su basi dimensionali, ma soprattutto per settori: penso a quello dei trasporti aerei, che in questa fase è evidentemente tenuto in vita dai Governi di tutto il mondo, ma anche a quello del turismo, della ristorazione, per non parlare di quello musicale, degli eventi e spettacoli teatrali, che è stato letteralmente azzerato. Chi ha le spalle più larghe dal punto di vista finanziario ha naturalmente una maggiore resilienza, ma in generale occorrerà una grande iniezione di risorse per far ripartire questi settori, in cui, peraltro, il nostro Paese eccelle nel mondo. Quando gli stranieri torneranno a viaggiare dovremo essere pronti a intercettare questi flussi, colmando alcuni precedenti gap con altri Paesi, anche meno fortunati del nostro dal punto di vista del patrimonio artistico e culturale. A parte le dimensioni e i settori, comunque, un’altra linea di distinzione andrebbe tracciata per i giovani che, in un contesto già depresso per le loro prospettive, hanno perso un anno: un periodo che in una certa fase di vita vale più che in altre”.

Con la Brexit quali problemi o anche quali nuove possibilità avranno le imprese italiane?
“Da un certo punto di vista potranno beneficiare di una fuoriuscita di capitali, finanziari e umani, dal Regno Unito, e per questo già a maggio 2019 il nostro Governo ha varato importanti incentivi per chi trasferisca la residenza nel nostro Paese. Manca ancora un provvedimento di questo tipo per il reshoring e in generale l’avvio di nuove attività imprenditoriali. Contiamo sul Recovery fund. E’ però evidente che i rapporti commerciali con il Regno Unito andranno a ritararsi, e questo è un rischio per noi, che siamo il terzo partner commerciale del Regno Unito, con una bilancia degli scambi in attivo, pre-Covid, per 14 miliardi di euro. Le indicazioni di una ritirata del Regno Unito dall’Europa, per volgere lo sguardo al mondo, sono evidenti e mi è già capitato di sentire illustri esponenti britannici affermare che l’UE non è l’unica organizzazione internazionale che possa aiutarli nello sviluppo. Vedremo quindi i rapporti che i nostri amici inglesi andranno a instaurare, in particolare, con la nuova amministrazione USA. Penso, innanzitutto, a come affronteranno il sempre più urgente tema della disciplina – fiscale e regolamentare – dei giganti tecnologici. Per converso, la sfida competitiva è lanciata proprio nei confronti dell’Unione e toccherà quindi a questa dimostrare – come mi pare stia facendo egregiamente, non da ieri e tanto più per noi italiani- il valore aggiunto di esserne membri”.

Cosa consiglierebbe oggi ad un imprenditore. Puntare alla innovazione e avere fiducia nel futuro, oppure prudenza e ridurre investimenti e iniziative?
“Chi non investe, anche solo su stesso con lo studio, rimane indietro. Sempre. A maggior ragione quando vedremo finalmente il rimbalzo dell’economia alla fine del tunnel. Le catene globali del valore saranno riviste, sono già in corso di ristrutturazione, e chi investirà di più e meglio, come sempre, raccoglierà i frutti del cambiamento”.

Infine il sistema fiscale italiano è complesso. Pesano burocrazia e costi. Come può essere snellito un sistema fiscale e quali riforme lei ritiene possano essere attuate?
“Non mi aspetto le rivoluzioni di cui troppo spesso leggiamo e, anche in prima persona, fantastichiamo. La flat tax sarebbe bellissima, in teoria, ma poi c’è la realtà dei numeri, ed essa tornerà ad essere un tema di speculazione più accademica che politica. Certamente è in corso un trend di lungo periodo che vede la base imponibile spostarsi sui consumi e la proprietà, a fronte di un alleggerimento del prelievo sui redditi da lavoro, che del resto in questi anni di globalizzazione sono calati a favore di quelli di capitale. Dal punto di vista dell’equità, sarebbe auspicabile una riduzione della frammentazione dell’imposizione sul reddito: esiste ormai una cedolare per moltissime forme di entrata, mentre i redditi da lavoro, quei pochi che rimangono, sono veramente tartassati, dal punto di vista fiscale e contributivo.

Lei cosa suggerirebbe di fare?
“Non sarà risolutivo di tutti i buchi di bilancio che inevitabilmente abbiamo contratto durante la crisi, ma mi sembrerebbe giusto, anche come espressione della solidarietà che lega un popolo, che coloro non sono stati colpiti dalla crisi e, anzi, durante la stessa hanno visto incrementare le loro entrate, fossero chiamati a un contributo straordinario. Un prelievo moderato – frutto di un dibattito parlamentare, e non di un blitz -, come del resto ne abbiamo già avuti in altre situazioni di crisi, ma simbolicamente molto significativo in termini di coesione sociale. Il problema, semmai, è che diversamente da altri casi che abbiamo vissuto nella nostra storia, sin dai due conflitti mondiali con le imposte sui profitti di guerra, chi ha beneficiato della crisi è oggi più difficilmente raggiungibile dal Fisco. Ecco un’altra sfida in cui essere parte dell’UE potrà aiutarci”.

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