giovedì, 5 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Trump e il futuro anteriore

Come spesso succede nella vita le contingenze quotidiane – i mille piccoli e grandi problemi con cui bisogna cimentarsi semplicemente per sopravvivere fino al mattino dopo – ci impediscono di vedere una realtà che muta e che delinea un futuro che non scorgiamo, anche se è palpabile davanti a noi.

Al punto che rischiamo di coniugare i verbi non al futuro semplice, ma soltanto al futuro anteriore. In quella forma verbale, cioè, mediante la quale più che esprimere una azione che ci ripromettiamo di compiere (io andrò), si indicano fatti futuri come già avvenuti, ma che nella realtà sono ben lungi dal verificarsi (quando sarò andato via), esprimendo una condizione ipotetica piuttosto che l’impegno ad un’azione.

Pensavo a ciò l’altra notte, allorché, addormentatomi davanti alla TV con un film su Winston Churchill, mi sono svegliato per l’eccitazione di Enrico Mentana che interrompeva con un’edizione straordinaria i preparativi dello sbarco in Normandia.

Passando, in tal modo, nel tempo del risveglio da un assopimento, dagli storici proclami del Generale Dwight David (“Ike”) Eisenhower, futuro 34º Presidente degli Stati Uniti, ai vaneggiamenti di Donald John Trump, quasi passato 45º successore dì Washington.

Il primo pensiero immediato di quel risveglio aveva attinenza col concetto espresso nella prima frase di questo mio scritto di oggi: che cosa avesse impedito agli Americani di vedere un pericolo praticamente annunciato. 

Forse l’epidemia. Forse il rincorrere i guadagni di un’economia, comunque, in salita: ciò che in USA non dispiace neppure ai democratici. Forse un’eccessiva fiducia nella loro istituzione democratica e nella tradizione del loro fair play a competizione elettorale chiusa. Una mia attenta amica segnalava al riguardo il “discorso della sconfitta” del repubblicano Mc Cain il quale, nel 2008, rendeva omaggio al vittorioso Barak Obama: veramente di alto profilo e di grande senso delle istituzioni.

Ma sembrava chiaro – al di là delle tendenze politiche di ciascuno – che Trump continuamente minasse la stessa istituzione da lui rappresentata, con comportamenti e proclami sempre al limite (e anche oltre). Un pericolo che nelle istituzioni democratiche europee si è più volte manifestato e che io stesso temo per l’Italia in questo periodo di prolungata soppressione della libertà: per la maggioranza degli italiani giustificata dall’emergenza pandemiale.

Il dileggio alla Costituzione, il rifiuto insistito di risultati di elezioni avvenute con tutte le garanzie sia sulle modalità di svolgimento che sui rimedi giurisdizionali, il non riconoscimento del vincitore hanno portato al tragico assalto al Campidoglio statunitense.

Per me, che quando penso alla democrazia americana ho sempre nel cuore il volto ed il ricordo di John Fitzgerald Kennedy, il suo discorso di Berlino e la sua concezione romantica della democrazia, un autentico oltraggio.

Unito alla paura che mi derivava quella notte da interrogativi che mi arrivavano da oltre oceano, con l’uso (eccolo!) del futuro anteriore: «Ma quando sarà avvenuto il colpo di stato, l’Italia potrà non riconoscere il governo illegittimo o potrebbe essere condizionata dalle basi militari presenti sul suo territorio?».

Paura che non cessa neanche ora che il colpo di stato non è avvenuto. Perché i poteri connessi alla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America cesseranno in capo a Trump soltanto una volta che ci “sarà stato” il passaggio di consegne al successore o al suo vice.

Il fatto è che neppure ora viene usato un futuro semplice tranquillizzante. Sia pure col riconoscimento a mezza bocca della vittoria di Biden non c’è l’impegno, sancito da quella semplice forma verbale, al passaggio di consegne. Ma solamente la promessa, espressa col futuro anteriore, di non essere presente quando Biden si sarà insediato.

Ciò che farà certamente tirare un sospiro di sollievo a chi penserà ad una certa valigetta in mani (si spera) più stabili.

Un solo dubbio mi tormenta; ve lo dico, nonostante non ci sia un collegamento evidente.

Mi chiedo se questa crisi della democrazia, sia legata solamente ad una personalità contorta o se sia, invece, avvisaglia di una mutazione nel nostro umano inconscio sentire. Metamorfosi per ora espressa da quei rozzi sciamani dell’assalto al Capitol Hill, ma che potrebbe essere indizio di un’accettazione del trapasso dalle nazioni ad un potere differente, che sta imponendosi con la sempre maggiore prevalenza dell’informatica, del dominio che da essa deriva e dalla reale internazionalizzazione delle entità che ne hanno la gestione.

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