venerdì, 19 Aprile, 2024
Attualità

La questione Meridionale del Coronavirus

In quarant’anni e passa che vivo a Roma, non mi era mai capitato di assentarmi per così lungo tempo dalla mia Lucania. Ci mancavo da più di un anno. Poi, per sopraggiunte esigenze familiari mi sono rifugiato, per alcune settimane, al mio paese, a Ferrandina. Una vacanza autunnale un po’ atipica, sul colle dei Cappuccini, in compagnia del vento, dell’aria e del sole e in più un panorama fantastico che spaziava dal mare argenteo di Metaponto fino alle aspre montagne del Pollino. Cosa vuoi più dalla vita? Finalmente ti fai un po’ di vacanze autunnali al tuo paese, mi ha detto un amico. Verissimo! Se non fosse per quel bricconcello del coronavirus che si è accampato ovunque, anche sui calanchi. Senza grande fortuna, però. Sulla collina materana, grazie a Dio, i contagi si potevano contare sul palmo delle mani. E’ sempre un agente  patogeno, mi direte voi. Ma per me era soprattutto un agente segreto. Uno 007 al servizio di sua maestà, la pandemia. Mentre James Bond, però, stanava i cattivi, i farabutti e i malfattori, questa subdola essenza genetica gioca brutti scherzi soprattutto alle persone innocue.  Inibisce le relazioni sociali, frena gli entusiasmi, spegne la voglia di fare. Che tristezza incontrare un amico e non potergli stringere la mano. Che rabbia non poter baciare la nipotina, un fiorellino di appena tre mesi. Che fastidio quella distanza mentre scambi una battuta con gli amici, mentre con loro evochi un ricordo o una scenetta di vita paesana. Mantieni le distanze! Attento a quel tizio, non ha la mascherina! Evita quell’assembramento! Rassegnati, mio caro. Non sei venuto nel tuo paese solo a sentire il vento, a contemplare l’ulivo o a prendere il sole.  Questa volta c’è anche il virus che ti aspetta. Non così diffuso come a Roma, ma sempre in agguato, quel mascalzone. Qui sui calanchi, per fortuna, non ha intaccato molti polmoni. E’ penetrato, però, nella testa della gente; ha danneggiato il suo umore. Ma è proprio questo il piccolo mondo dove son nato? No, mio caro. Questo è il mondo della pandemia. Quel mondo che Giovanni Boccaccio rappresentò molto bene nel suo Decamerone. Riferendosi all’epidemia di peste che sconvolse Firenze nel 1348, scrisse: E lasciamo che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano” Negli ultimi 3000 anni ben 13 pandemie hanno infierito sul genere umano. Non vorrei sbagliare ma l’epidemia più terribile che ha colpito il nostro Paese è stata proprio la “Spagnola”. La pandemia del 1918-1920 fece registrare quattro milioni e mezzo di contagi e 600mila morti su una popolazione di trentasei milioni di abitanti. Fu duramente colpita l’economia. Ci furono forti tensioni sociali. Tutto, a cavallo tra la Grande Guerra e il Fascismo. La spagnola colpì duramente anche il nostro Mezzogiorno e provocò una vera e propria strage. Pensate un po’, nella sola Basilicata, che allora avevano una popolazione di 468.557 abitanti, i morti furono più di cinque mila. Eppure nessuna epidemia al Sud è riuscita a stravolgere, nelle sue viscere, la sua cultura, la civiltà, la sua antropologia. Non è facile per un virus, per quanto possa incutere spavento, e finanche timore della morte, spazzare via, in pochi mesi, millenni di civiltà e di cultura, di costumi e abitudini, di pregi e di difetti. Al virus che ha percorso la via della seta, potremmo rispondere col titolo di un bel libro di Mariolina Venezia. Non farti molte illusioni, mio caro. Noi, “son mille anni che stiamo qui” e ne abbiamo viste di tutti i colori. Forse ci potrai aggredire con le tue mutazioni genetiche nei polmoni, nelle ossa o colpirci direttamente al cuore. Ma…. È molto difficile che tu possa dare scacco matto alla nostra anima. Ricordo sempre quello che mi raccontava mio padre. Dei sacrifici, delle privazioni e sofferenze che provocarono nei nostri paesi le guerre, le calamità naturali, e tutte le sciagure che, periodicamente, madre natura riversava sul loro povero mondo. Poi, però, da padre di famiglia, ho compreso la forza straordinaria di quella generazione, la grande forza di volontà e il carattere forte che dimostrarono nel rialzarsi. Non ti sarà facile, mio caro virus, distruggere in pochi mesi tutto questo patrimonio accumulato nei secoli. E’ vero quello che si dice. E cioè che è molto complicato governare la gente del Sud. Ma è ancor più difficile, se non impossibile, snaturarla, violentarla, umiliarla. Quando questa brutta pandemia passerà, scompariranno, speriamo, solo le cattive abitudini, le false credenze, le stupide superstizioni. Torneremo, invece, ad abbracciare gli amici, a baciare i nostri figli e nipoti, a festeggiare insieme i momenti belli e felici della nostra vita. E non sarai tu, caro virus, a risolvere in peggio la nostra esistenza. Non saranno i tuoi comandamenti a dettarci l’agenda in questi tempi difficili. Quando si parla dell’ingovernabilità italiana e soprattutto del suo fronte meridionale, mi piace riferire un aneddoto che raccontava spesso il Generale De Gaulle. A un giornalista che nel maggio del  1968, in piena contestazione studentesca, gli chiese: Ma Lei, Signor Presidente, come fa a governare un paese in preda alla rivoluzione? E De Gaulle rispose: “Effettivamente è molto difficile governare un paese che produce quattrocento tipi di formaggio”. E così, sempre si parva licet, anche noi potremmo chiedere al Generale Coronavirus: E tu come farai a impadronirti del nostro Paese che produce oltre mille etichette di vino, più di cento tipi di pasta, duecento varietà di pecorino e cento gusti di gelato? Come farai?

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