giovedì, 25 Aprile, 2024
Economia

Partecipazioni Statali: un settore che non vede crisi

La vicenda della cordata Alitalia, ormai conclusa positivamente, salvo la redazione del piano industriale di risanamento, ci porta a fare una riflessione su quella che è stata la nostra storia delle cosiddette Partecipazioni Statati

Si inizia  negli anni trenta con la creazione dell’IRI, quando l’economia italiana era prossima allo sfascio perché gli imprenditori chiudevano le aziende e lasciavano le grandi banche piene di crediti inesigibili. E proprio  in quegli anni l’Istituto per la Ricostruzione Industriale ebbe la missione di sostituirsi ai privati, incapaci di rilanciare l’economia nei suoi settori fondamentali (manifattura e servizi) preferendo fare la fila nei salotti di Mediobanca per farsi assistere e finanziare attraverso le banche, che l’IRI stesso alla fine controllava, e sperare nell’intervento di chi tutto controllava e gestiva: Enrico Cuccia (1907/2000). che i più certamente ricordano.

Solo l’11 maggio scorso, quasi senza alcuna commemorazione, muore Gianni De Michelis, uno dei più importanti  ministri delle Partecipazioni Statali (1980 – 1983).

E devono passare dieci anni da quando lascia il ministero, per vedere il famoso “Libro Verde sulle Partecipazioni dello Stato”. Questa pubblicazione della Direzione Generale del Tesoro delinea quali fossero, allora, gli intenti del governo nell’avviare l’ampio programma di destrutturazione delle partecipate che fu affidato nel 1993 al Comitato Permanente di Consulenza globale e di Garanzia per le privatizzazioni – composto da un gruppo di esperti indipendenti, per garantire la massima trasparenza (esigenza già da allora evidenziata) per ogni singola azione di dismissione.

Da noi il processo culturale di privatizzazione fu rapido e durò poco più di quattro anni: dal 1996 al 2000; nel Regno Unito, solo per fare un esempio, il processo di de-nazionalizzazione dell’economia impegnò ben tre legislature (dal 1979 al 1991).

Ora, se gli italiani pensano ancora oggi che le privatizzazioni siano state un fatto positivo è perché probabilmente non sanno che c’è un intero settore dell’economia italiana che, malgrado la congiuntura negativa di questi ultimi vent’anni, è ancora vitale e prospero.

Nel 2018, da Eni a Enel, da Leonardo a Snam, da Poste italiane a Ferrovie dello Stato, il comparto partecipate ha chiuso con un bilancio di oltre 14,5 miliardi di utile netto. Non tutti di competenza dell’azionista pubblico ma i risultati rendono comunque l’idea della capacità di creare valore da parte delle nostre partecipate. Evidenziamo anche che queste società operano quasi tutte in regime di libero mercato e con concorrenti esteri anche agguerriti. Quest’anno l’azionista pubblico incasserà circa 2,5 miliardi di cedole. Cifre significative, necessarie e indispensabili per dare un certo assetto alla finanzia pubblica.

L’attuale esecutivo gialloverde finge di non accorgersi di questi risultati perché non vuole affrontare un’ ulteriore divergenza di vedute.

Noi da queste colonne vogliamo ricordare al Movimento 5 Stelle e alla Lega quello che ha rappresentato per l’Italia l’industria di Stato, e desideriamo fare in modo che questi temi vengano affrontati con serietà, competenza e velocità: di tempo ne resta ormai poco. L’IRI diventò un colosso con centinaia di partecipate e 600 mila dipendenti: al massimo dell’efficienza negli anni sessanta, ancora buono negli anni ottanta e rovinoso negli anni dal settanta al novanta: quest’ultimi coincidono con quelli del declino della classe politica.

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