sabato, 20 Aprile, 2024
Il Cittadino

Effetti collaterali negativi

Questa rubrica ha parlato del pericolo dell’epidemia da coronavirus prima ancora che il governo dichiarasse lo stato d’emergenza (“Quarantena e diritti umani”, domenica 26 gennaio 2020). Poi ho raccontato di come non avessi volontariamente partecipato ad un evento, per prudenza da “coronavirus”, ben prima che venisse dichiarato il così detto “lockdown” (“Futuro e competenza”, domenica primo marzo 2020).

Dico questo perché il rifiuto ad una ulteriore proroga delle restrizione delle libertà fondamentali dell’uomo, espressa da una rilevante parte della popolazione e che condivido pienamente, è vista da un’altra parte della popolazione come una minaccia alla sua salute.

Personalmente, quindi, volendo ora mettere in dubbio alcuni capisaldi del conformismo determinatosi sul lockdown, specie riferito al passato, ho voluto rivendicare a me stesso un atteggiamento prudente e tollerante anche della sospensione dei miei diritti fondamentali. Con l’avvertenza già data in tempi non sospetti, annotando la risposta eccezionale del popolo italiano agli arresti domiciliari cui era stato costretto, che il potere sanitario fosse a termine e a termine breve: «perché il potere sanitario è una dittatura: tollerabile solamente per il tempo di un’emergenza» (“Potere sanitario”, domenica 22 marzo 2020).

Con la cessazione dei limiti alla libertà di movimento dei cittadini, che dovrebbe essere ripristinato già domani mattina, si pone fine al tempo dei divieti imposti dallo Stato.

Divieti che sono durati ben più di una quarantena classica; infinitamente più del tempo di incubazione del coronavirus indicato in quindici giorni e che si sono protratti dal 7 marzo al 3 giugno per quasi tre mesi. E che sono stati estesi a tutta la popolazione: anche alla maggioranza completamente sana.

I bilanci si potranno fare solo più in là nel tempo, quando si potrà guardare a questo periodo con dati certi e “raffreddate” dalle tensioni quotidiane.

La mia sensazione personale è di conseguenze negative maggiori di quanto è fino ad ora emerso, essendosi limitati gli analisti a considerare solamente la drammatica situazione economica derivata.

Il panico da epidemia ha determinato un approccio irrazionale, che se è ammissibile in un individuo, non lo è nello Stato che dovrebbe mantenere una freddezza di analisi che dovrebbe guardare ad una serie di dati e di problematiche molto più complesse.

Basta pensare alla sanità, che come successo in altri settori – giustizia in primis – , è stata limitata alle sole “urgenze”, con la conseguenza che quando ci saremmo svegliati dal terrore dell’influenza avremo decine di migliaia di interventi chirurgici programmati rinviati e da eseguire, sui quali si accumuleranno quelli nuovi; e forse qualche milione di indagini terapeutiche e di diagnosi rimandate con gravissimo pericolo.

Situazione da cui potrebbero derivare – mi auguro ovviamente che non sia così – danni alla salute forse più gravi di quelli evitati.

Sarà necessario che gli istituti di statistica tengano un conto preciso delle persone che saranno decedute o avranno avuto danni gravi alla salute, a causa della limitazione della sanità ordinaria, nell’emergenza da coronavirus.

Le prescrizioni sul distanziamento – impossibili da attuare per l’essere umano che per riprodursi deve congiungersi e diventare “un solo corpo” – stanno poi determinando un‘autentica fobia del nostro prossimo in intere generazioni di bambini: ai quali si vieta di giocare come noi abbiamo giocato, che a scuola si vuole isolare più di quanto lo saranno nella vita da un modello di socializzazione elettronica che è l’opposto dell’agorà greca e del foro romano, da dove deriva la democrazia e la nostra civiltà. E che ne usciranno terrorizzati dalla vicinanza fisica di altri esseri umani.

Ecco, credo che sia venuto il momento di considerare anche questi effetti collaterali e di affrontarli organicamente: non soltanto con interventi assistenziali, ma con una programmazione efficace e con riforme autentiche e rivoluzionarie: che pongano al primo posto il cittadino, destinatario dei servizi, anziché – come accade ora – chi quei servizi dovrebbe erogare con efficienza ed imparzialità.

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