sabato, 11 Gennaio, 2025
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Gabriele Lavia è Re Lear. Grande successo al Teatro Argentina.

Gabriele Lavia, uno dei più grandi maestri del teatro italiano è tornato in scena al Teatro Argentina, dal 26 novembre al 22 dicembre, con una straordinaria interpretazione di Re Lear, intramontabile dramma di William Shakespeare, che da quattro secoli continua a mettere in luce la tragedia del potere e della condizione umana.
Re Lear venne rappresentato a corte nel 1606, in una Londra che aveva conosciuto la peste e la chiusura dei teatri per ragioni sanitarie e il successo dell’opera sarà inarrestabile. Certamente Re Lear è uno dei drammi più complessi e rappresentativi di Shakespeare, con cui i grandi attori di tutte le generazioni, da lui a venire, si confronteranno per dirsi capaci di portare al pubblico un testo chiave sulla natura umana.

È il potere, infatti, il tema che attraversa il dramma e governa le esistenze di tutti i personaggi. Lavia stesso si era ripromesso di non tornare a Re Lear, dopo il debutto con Strehler nel 1972, quando portarono in scena un Re Lear magnifico, ambientato in un tendone da circo nero, il “circo-mondo” che desiderava ricreare Strehler. La regia di Gabriele Lavia di questo Re Lear invece è caratterizzata da un’ambientazione che vuole riflettere la condizione attuale della vita e del teatro stesso: un teatro abbandonato. Il regista chiarisce così il suo intento:” Chi pensa di rappresentare un testo commette un errore. In realtà rappresenta un mondo. Nella nostra scena c’è un piccolo teatrino di bambini che sta sopra a un tavolino. Rappresenta la nostra realtà. Corrisponde alle condizioni storiche del teatro nel nostro paese. Qualcosa di lontano, forse superfluo, forse dimenticato. Vediamo il palcoscenico di un teatro disastrato, dove ci sono degli attori che trovano dei costumi in vecchi bauli e cominciano a recitare questa vecchia storia come possono, in maniera precaria.

Noi siamo così, sospesi come le quinte messe un po’ dritte e un po’ storte, bauli che evocano vecchi debutti, un pianoforte scordato come quello che si trovano nei vecchi teatri. Come la nostra vita. Un po’ storta, in po’ dimenticata, un po’ Amara. “
Il testo teatrale è frutto della traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari.
Certamente Re Lear svela le trame dei rapporti tra genitori e figli, mostra la crudeltà a cui è disposta la natura umana per la soddisfazione dei propri bisogni, ci mette di fronte alla spietatezza e alla morte dell’innocente. Nel dramma potere, identità e follia si legano indissolubilmente, così come viene sottolineato che il potere non può essere gestito da individui acerbi, ma che necessita personalità solide capaci di amministrato, perché consapevoli che è un peso da sopportare. Proprio per questa ragione, inoltrandoci nella trama, vediamo un vecchio re, Lear, abdicare a favore delle sue tre figlie.
Lear decide di lasciare il suo regno alle tre figlie domandando in cambio una manifestazione verbale del loro amore filiale, ma, mentre le due figlie più grandi sono prodighe di parole, Cordelia, la figlia minore, mal sopportando l’ipocrisia delle sorelle, si limita a dire che prova quello che una figlia è tenuta a provare per il padre. Per questo Cordelia sarà ripudiata da Lear, colpito e accecato dal suo orgoglio, che invece consegnerà il suo regno alle due figlie. A questo punto Lear sperimenta la perdita, non soltanto del regno, ma anche della sua identità e di quello che reputavo essere un legame affettivo con le figlie.

Una volta svestiti i panni di re, per le due figlie regnanti non è che un vecchio arrogante da arginare e sottomettere, a qualsiasi costo, compreso quello di lasciarlo senza riparo sotto una tempesta. Sarà la figlia ripudiata ad accorrere in soccorso del vecchio re, ormai soltanto un vecchio uomo. Centrale in quest’opera è la tempesta, che rappresenta non soltanto la tempesta interiore che affronta Lear, ma la tempesta esistenziale in cui tutti siamo immersi e Gabriele Lavia riesce a renderla in maniera eccellente, credibile, tanto che il vento che sferza il viso dei protagonisti sembra investire la platea.

Dice Lavia:” travolto dalla tempesta del non essere Lear la attraverserà fino alla fine, fino all’ultimo dolore quando l’uomo Lear, portando in braccio la figlia Cordelia morta, urlando domanderà agli spettatori – Siete uomini o pietre? Avessi io le vostre gole e i vostri occhi e piangerei fino a mandare in frantumi la volta del cielo.- In questo finale, colpo di genio, Shakespeare-Lear invoca le grida e il pianto di tutti gli spettatori, come se fossero il Coro ideale per l’ultima scena del suo capolavoro.” Se non lacrime, diversi applausi a scena aperta hanno accompagnato questo spettacolo senza tempo, grazie anche alla regia che mescola con sapienza un gusto classico e una suggestione contemporanea, valorizzando un’opera che sa parlare per sempre. La fragilità umana, il confronto con la natura, la vulnerabilità delle relazioni, l’impermanenza del potere, tutto parla di oggi, e di domani. L’intero cast, di tale bravura da rendere difficile rintracciare una preferenza, è costituito dagli attori (in o.a.) Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, Jacopo Carta, Beatrice Ceccherini, Federica Di Martino, Ian Gualdani, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Gianluca Scaccia, Silvia Siravo, Jacopo Venturiero, Lorenzo Volpe.
Scene di Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, luci Giuseppe Filipponio, musiche Antonio Di Pofi, suono Riccardo Benassi, assistente alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo, assistente alle scene Michela Mantegazza, assistente ai costumi Giulia Rovetto, suggeritore Nicolò Ayroldi, foto di scena Tommaso Le Pera. Una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera srl, LAC Lugano Arte e Cultura.

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