sabato, 27 Luglio, 2024
Società

Netanyahu insiste: guerra lunga. Cina e Egitto chiedono il cessate il fuoco

Contrasti nel Governo di Tel Aviv. Irritazione Usa. L’Ue invita arabi, israeliani e palestinei al Consiglio del 22 gennaio

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu durante l’ultima riunione del Gabinetto di guerra, dove avrebbe avuto un diverbio importante con il ministro della Difesa Yoav Gallant, ha detto che la guerra “durerà ancora molti mesi.” Irritazione anche da parte del Presidente Biden nei riguardi di Netanyahu che finora avrebbe “frustrato” tutte le proposte americane per arrivare alla pace. Intanto al Cairo si sono incontrati i ministri degli Esteri cinese e egiziano e a Tel Aviv, per i cento giorni di guerra, sono scese in piazza migliaia di persone e molte aziende si sono fermate per cento minuti.

100 giorni di guerra

Ieri a Tel Aviv, manifestazione per il 100° giorno di guerra tra Israele e Hamas. Più di 150 importanti aziende israeliane hanno cominciato uno sciopero di cento minuti in solidarietà con gli ostaggi trattenuti a Gaza da cento giorni. “In questo momento – ha detto Arnon Ben David, capo dell’Histadrut, il sindacato israeliano – centinaia di aziende private e pubbliche si fermano per ricordare. Siamo in sciopero oggi per lavorare insieme per ricostruire la terra di Israele. Ricostruiremo tutto ciò che hanno provato a distruggere e lo faremo meglio.”

Biden, Gallant e Netanyahu

Secondo notizie giornalistiche Netanyahu e Gallant si sarebbero scontrati riguardo la partecipazione dei rispettivi assistenti alla riunione del Gabinetto di guerra. Gallant ha lasciato la riunione in anticipo. All’origine dello screzio tra i due ci sarebbe il rifiuto, da parte di Netanyahu, di far partecipare all’incontro il capo dello staff di Gallant. Fonti americane, riferiscono che anche il Presidente statunitense Joe Biden è “frustrato” nei confronti di Netanyahu e “sta perdendo la pazienza” perché il premier israeliano “avrebbe rigettato gran parte delle richieste dell’amministrazione Usa” sulla guerra a Gaza. Il sito israeliano Ynet, citando Axios, ha aggiunto che Netanyahu “sta trascinando la guerra per motivi politici e personali” e che il rilascio dei rapiti “non sia la sua priorità.” Le accuse sono state respinte dall’ufficio del premier secondo cui, citato sempre da Ynet, Netanyahu “lavora in ogni modo al rilascio dei rapiti il più rapidamente possibile.” La guerra si prolunga e “per questo – ha aggiunto Netanyahu – stiamo predisponendo un bilancio di guerra che ci obbliga a spese per la difesa molto più grandi di quanto avevamo previsto.” Dall’altra parte Hasan Nasrallah, in un comizio televisivo, ha detto che Hezbollah non ha paura di andare in guerra aperta con Israele: “sono gli israeliani che hanno paura di farci la guerra. Noi siamo sempre pronti.” “Continuiamo a combattere sul nostro fronte per evitare che Israele lanci una guerra contro il Libano”, ha detto Nasrallah, che poi si è scagliato anche contro gli Stati Uniti: “sono gli americani che stanno espandendo la guerra, anche se chiedono di evitare una escalation.”

L’Unione europea ci prova

Intanto Israele e Palestina, ma anche Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Lega Araba sono stati invitati al Consiglio Esteri dell’Unione europea convocato per il 22 gennaio. Lo ha reso noto l’Alto rappresentante per gli Esteri dell’Ur Josep Borrell di ritorno da un giro di incontri in Medioriente. Secondo Borrell, “è urgente che l’Europa sia coinvolta nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.” “Dal 7 ottobre – ha scritto Borrell sul suo blog – vi sono opinioni divergenti all’interno dell’Ue su come reagire al conflitto a Gaza. Questa mancanza di consenso ha indebolito l’Ue nella regione e ci ha impedito di influenzare gli eventi, nonostante siamo direttamente colpiti da questo conflitto e dalle sue conseguenze. È giunto il momento di unirci e assumerci la responsabilità di spingere per la fine delle ostilità a Gaza e di lavorare con i nostri partner per perseguire attivamente l’attuazione della soluzione a due Stati”.

Cina: Palestina indipendente

Mobilitata anche la Cina che con l’Egitto ha chiesto il cessate il fuoco a Gaza. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in visita ufficiale al Cairo, nel corso di una conferenza stampa congiunta con l’omologo egiziano Sameh Choukri, si è detto favorevole a “uno Stato di Palestina indipendente e sovrano” con Gerusalemme est come capitale.

Tajani: nuova missione Ue

Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, è intervenuto sulla guerra in Medioriente e ha detto che “la posizione di Israele, di autodifesa è giusta e legittima. È ovvio che non c’è nessun genocidio”. Quanto agli attacchi degli Houthi lungo le rotte del mar Rosso ha spiegato: “noi abbiamo, fin dall’inizio, condannato gli attacchi alle navi mercantili e siamo impegnati per dar vita ad una missione militare europea e abbiamo già posto, insieme alla Francia, all’ordine del giorno della prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, che si terrà il 22 gennaio a Bruxelles il tema di una nuova missione.” Questo perché la Spagna si oppone all’allargamento delle competenze della missione “Atlante” già in corso e quindi bisogna avviare una nuova missione con un nuovo mandato.

Nyt: Houthi sottovalutati

Nel frattempo il Presidente iraniano Ebrahim Raisi ha dichiarato che coloro che cercano di normalizzare le relazioni con il “regime sionista” dovrebbero sapere che ciò non crea sicurezza né per i Paesi della regione, né per Israele. Parlando all’evento “L’alluvione di Al-Aqsa”, Raisi ha detto che l’Iran ha reso la questione palestinese “la più importante del mondo islamico.” “La resistenza dell’Iran ha dato i suoi frutti”, ha affermato, “i palestinesi, di loro iniziativa, hanno trasformato la guerra con le pietre in una guerra con missili e droni”. Il New York Times, invece, ha rivelato che gli attacchi guidati dagli Stati Uniti contro gli Houthi hanno distrutto circa un quarto delle capacità di lancio di missili e droni del gruppo sostenuto dall’Iran. Il quotidiano afferma che il 20-30% delle capacità offensive degli Houthi sono state distrutte o danneggiate negli attacchi, ma che molte delle loro piattaforme d’arma sono mobili e possono essere spostate. Criticate, invece, le attività di intelligence che, per anni, avrebbero snobbato la raccolta di informazioni sullo Yemen e sulle attività dei ribelli.

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