sabato, 27 Aprile, 2024
Società

Media e gap gender, rischi anche nel mondo digitale

Intervista a Maria Pia Rossignaud

Nuovi media e media tradizionali, intelligenza artificiale e informazione digitale, interessi commerciali e fautori dell’approfondimento e del linguaggio umano. Questi i temi che fanno discutere oggi il mercato editoriale e in mezzo il ruolo delle donne che secondo l’Osservatorio TuttiMedia cresce nonostante le difficoltà di un persistente gap gender molto italiano. Ne abbiamo parlato con la vice presidente dell’Osservatorio, Maria Pia Rossignaud, direttrice della prima rivista di cultura digitale italiana “Media Duemila”.

Partiamo dall’Osservatorio TuttiMedia. Quali sono le sue finalità, quando è nato, da chi è costituito?L’Osservatorio TuttiMedia è nato nel 1996 per volontà di Giovanni Giovannini, il presidente storico della Federazione Italiana Editori, con l’intenzione di mettere tutti quanti gli stakeholder del mondo della comunicazione allo stesso tavolo per smettere di litigare e trovare soluzioni sostenibili, su temi come la raccolta pubblicitaria, più tv meno giornali, eccetera, cercando di trovare un equilibrio tra le esigenze di tutti. Una visione quanto mai moderna che ci ha portato poi oggi, vent’anni dopo, a vedere riuniti editori, Google, Facebook, giornalisti e grandi aziende, che insieme hanno voluto un tavolo dove poter discutere e trovare una soluzione affinché il mondo dei media diventi economicamente sostenibile. Io che vengo dai media chiamiamoli “antichi” posso naturalmente sostenerne e capirne le priorità, ma vedo anche le positività dei media moderni, un po’ come Giano bifronte. Bisogna andare avanti ma tenendo sempre conto anche delle nostre radici e delle nostre tradizioni. Per questo ogni anno organizzo l’incontro “Nostalgia di futuro”, in cui si discute della punta dell’iceberg della tradizione digitale.

Ma quali sono le principali criticità che caratterizzano il mercato dei media?
Noi le decliniamo dal punto di vista culturale. Secondo noi siamo passati dall’euforia della disintermediazione dell’informazione alla dittatura delle macchine, perché l’algoritmo usa le parole in maniera completamente diversa. Noi giornalisti scriviamo, raccontiamo il mondo e lo interpretiamo attraverso le parole, l’algoritmo usa le parole, ma senza trasferirvi tutti i significati diversi che può avere la stessa parola. Personalmente sono fautrice del fatto che i giornalisti raccontino ancora il mondo attraverso le parole che fanno parte del nostro linguaggio, che poi alla fine è stato il primo algoritmo dell’uomo.

Sta parlando dell’avvento dell’intelligenza artificiale e dei Content Creator? La vede solo come una minaccia?
Io non vedo mai minaccia perché, come diceva Giovanni Giovannini, non bisogna mai alzare steccati, bisogna semplicemente aprirsi alla condivisione dell’innovazione. L’innovazione arriva continuamente, l’essere umano innova da sempre. Però sulla terra, a differenza degli animali, l’essere umano, è colui il quale, attraverso le parole appunto, rende visibile l’invisibile, come dice bene Padre Paolo Benanti, grande esperto di intelligenza artificiale e credo che non dobbiamo perdere questa prerogativa, di saper usare al meglio il linguaggio. Ripeto l’innovazione arriva, bisogna cavalcarla al meglio, come facciamo noi dell’Osservatorio. Ci mettiamo allo stesso tavolo e discutiamo delle cose buone e di quelle meno buone.

A cosa può portare questa innovazione?
Adesso si discute di cose sui giornali di cui noi abbiamo parlato anni fa. C’è stato un bellissimo articolo della Tebani sul Corriere della Sera che sosteneva l’importanza della lettura sulla carta e della differenza della lettura sullo schermo: una lettura molto più veloce, meno approfondita, tanto è vero che oggi per attirarti a leggere sullo schermo trovi all’inizio degli articoli l’indicazione del tempo di lettura, non più di due o quattro minuti. Le pare normale? A me no. A me insegnavano la lettura, la calma, l’approfondimento e sostanzialmente l’apprendimento. Il mondo è cambiato, usiamo questi mezzi, soprattutto l’intelligenza artificiale generativa, a supporto dei giornalisti, a supporto del mondo dell’informazione. Non facciamola diventare un’arma a favore delle fake news, della disinformazione.

Torniamo all’Osservatorio. Da poco avete organizzato un seminario dal titolo “Donne e Authority: tutela dei diritti e innovazioni nelle comunicazioni”. Di quali diritti parliamo?
È un’idea che nasce dall’Osservatorio Tutti i media insieme al Consiglio Nazionale degli Utenti presieduto da Sandra Cioffi, che analizza, ridiscute e riflette su come i media trattano l’immagine della donna, come la donna viene riportata e le ricadute che le immagini femminili hanno sulla società. Se uno pensa che nel 2018 il Parlamento indicò 22 nomi ai vertici di enti, istituzioni, Authority ma tra questi nessuna donna mentre oggi nel Agcom ci sono due donne nel Consiglio si capisce che sono stati fatti passi avanti, che significano anche una visione complementare da parte dei media. Una visione che possa aiutare a sostenere l’evoluzione paritaria del mondo intero. Come ha detto Elisa Giomi [Professoressa Associata in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi Roma Tre -ndr] le fiction attualmente hanno un grosso potenziale, perché per esempio oggi vi troviamo donne eroine, commissarie, poliziotte, eccetera. La società oggi ha più che mai bisogno di spingere queste ragazze verso possibilità nuove. La televisione e quindi il mondo dei media può aiutare senz’altro. Però attenzione a non cadere in nessun tipo di stereotipo. La donna nelle fiction, qualsiasi posizione ricopra, è sempre più altruista, disponibile verso gli altri, il mondo, la sostenibilità, il verde rispetto agli uomini, che sono un po’ più arrivisti. Questo riporta al concetto di donna abilitata alla cura, tanto che durante il Covid il 90% sono rimaste a casa e poi senza lavoro. Abbiamo, quindi, voluto evidenziare quei segnali impercettibili che noi dell’Osservatorio TuttiMedia chiamiamo i ‘segnali deboli del futuro’, quelli, cioè, che anticipano i cambiamenti per evitare i fallimenti. La donna poliziotta mettiamola alla pari di un uomo, non la rappresentiamo sempre come la più brava, la più bella, perché anche questo non va bene, bisogna trovare un equilibrio.

In questo seminario vi siete concentrati in particolar modo sulle presenze femminili nelle Authority, meno in vista tra le istituzioni ma in realtà enti regolatori e di controllo molto importanti, come mai?
Lo scopo del convegno era sottolineare il fatto che finalmente abbiamo una donna presidente di un’Authority, che è quella per l’infanzia, una donna nell’Autority per la privacy, ce ne sono nell’Authority per la concorrenza, solo per fare degli esempi. Un aspetto importante nell’evoluzione del mondo.

Sì, però il gap gender resta forte e chiaro nel nostro Paese nonostante questi segnali positivi. In questo cosa possono fare i media?
Continuare a tenere alta l’attenzione. Noi cerchiamo passo dopo passo di non far dimenticare i traguardi, di cercare di portare l’attenzione su quelle che sono le prossime tappe. Siamo un’associazione no profit che punta sull’innovazione a tutto tondo e per noi innovazione sono anche le donne nelle Authority. Subito dopo il nostro seminario l’Agcom ha stabilito una maggiore attenzione verso per esempio una donna violentata che non deve essere sovraesposta. Un rispetto che deve essere presente anche nello spazio virtuale. Vogliamo evitare che bias pregiudiziali delle società vengano riportati pari pari nel Metaverso. Anche nel Metaverso
ci sono state donne che non si sono sentite sicure, senza poi parlare del cyber-bullismo o degli hate speech che per il 90% sono contro le donne. Il mondo digitale è ancora più pericoloso per la possibilità di nascondersi facilmente, quindi c’è bisogno di analizzare al meglio quelle che sono le sue peculiarità negative.

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