domenica, 28 Aprile, 2024
Economia e non solo

Veneto locomotiva d’Italia. Piemonte la brutta sorpresa di questi ultimi anni

Paolo Zabeo, 59 anni, coordinatore dell’ufficio studi della Cgia di Mestre. Mastica dati e statistiche economiche da trent’anni, da quando Renato Mason, attuale segretario generale e il compianto Giuseppe Bortolussi ebbero l’intuizione, rivelatasi strategica, di aggiungere alla rappresentanza degli artigiani una serie di studi e analisi per contrastare le narrative che descrivevano i piccoli produttori come evasori fiscali

L’intervista al Coordinatore Ufficio studi CGIA Paolo Zabeo

Oggi un artigiano è più vicino a un imprenditore o a un operaio?

Considerando che il 70 per cento circa degli artigiani presenti in Italia lavora da solo, ovvero non ha dipendenti, possiamo dire che, in linea di massima, è poco più di un operaio anche se, a differenza di quest’ultimo, non beneficia di alcun ammortizzatore sociale (Cig, Naspi, malattia, etc.).

Una vocazione?

Spesso, fare l’artigiano è una scelta di vita che ti consente di essere indipendente, di non rispondere a nessun altro, se non alle esigenze della tua clientela. E’ un modo per rivendicare, nel mondo del lavoro, la centralità della persona rispetto alla macchina, anche se stare sul mercato è sempre più difficile.

La Cgia di Mestre ha un Ufficio studi, che tu coordini, che è un riferimento nazionale. Cosa non raccontano i soli numeri?

I numeri sono importanti, perché ti consentono di dimensionare un fenomeno, di realizzare dei confronti e di capire meglio l’ambito che stai analizzando.

Li puoi interpretare…

Ovviamente, si possono interpretare e si possono “stiracchiare” da una parte o dall’altra. Comunque, quando sei onesto intellettualmente ti fotografano la realtà così come è. Detto ciò, i numeri non sono sufficienti; nei settori che noi analizziamo bisogna conoscere bene i principi dell’economia e avere sempre l’umiltà di mettere in discussione tutto. Solo così puoi evitare di prendere lucciole per lanterne.

Voi spesso avete lo Stato come avversario: non paga in tempo i fornitori, tartassa piccola impresa e artigiani, inventa assurdità burocratiche… da quando è nato il Centro studi la situazione è migliorata o è peggiorata?

È difficile dare una risposta rispetto alla situazione che vivevamo 30 anni fa. Infatti, il nostro Ufficio studi è nato nel 1993, con la prima campagna contro l’evasione/elusione delle grandi società di capitali. Sicuramente la burocrazia fiscale è meno oppressiva di allora, ma il peso delle tasse è rimasto più o meno lo stesso. Oggi c’è sicuramente una maggiore attenzione e considerazione verso le micro e piccole imprese, anche se in termini di provvedimenti legislativi a suo favore siamo rimasti agli stessi livelli di tre decenni fa.

E, visto che il periodo, più o meno, copre dall’entrata dell’Italia in Europa a oggi: entrare nell’euro ci ha fatto bene o ci ha fatto male?

Ci piaccia o no, l’Italia non poteva rimanere fuori dalla moneta unica. Avendo un debito pubblico di quelle dimensioni, per il nostro Paese l’euro è stato un ottimo “paracadute” contro le speculazioni finanziarie che si sono susseguite in questi ultimi lustri. Certo, tutto questo l’abbiamo pagato a caro prezzo.

Costi-benefici: abbiamo fatto bene o abbiamo fatto male?

Nel complesso i costi sono stati sicuramente inferiori ai benefici che ne abbiamo tratto.

Su quasi tutti i temi economici: occupazione, produzioni, export, e anche sociali; sanità, scuola ecc. i dati raccontano sempre la grande spaccatura nord-sud: non c’è proprio rimedio? La Cgia ha qualcosa da suggerire per ricomporre questo divario?

Il divario Nord-Sud rimane ancora molto forte e non sarà per nulla facile colmarlo. Oltre 75 anni di centralismo romano hanno aumentato la distanza tra queste due macro aree.

E, dunque, come rivendica il governatore Zaia; federalismo e autonomia?

Noi siamo convinti che una seria riforma federale del nostro Stato  – basata sui principi della responsabilità, dell’efficienza e della solidarietà tra i territori – potrebbe essere  una risposta concreta a questo problema. Ho l’impressione che l’autonomia differenziata, semmai verrà approvata, non sarà in grado di una risposta convincente alle esigenze delle regioni del Nord e del Sud. Spero di sbagliarmi, ma ho l’impressione che solo in pochi la vogliono veramente.

Oggi c’è  la sostenibilità e la questione ambientale. Come ve ne occupate?

La crisi climatica impone una forte accelerazione verso la transizione ecologica che, obtorto collo, sta interessando anche il mondo dell’artigianato e della piccola impresa. Formazione, informazione e misure concrete a sostegno del nostro mondo sono gli strumenti che stiamo utilizzando.
Nei prossimi anni, ad esempio, anche le micro imprese per ottenere con più facilità il credito, la possibilità di stipulare una polizza assicurativa, partecipare a un bando pubblico o lavorare come subfornitore per un grande committente, dovranno certificare la propria sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG).

Un artigiano che lavora da solo farà un po’ fatica a stare al passo. Non troverà più credito da nessuna parte?

Per non lasciare “soli” tantissimi artigiani stiamo mettendo a punto un misuratore in grado di dirci se un’impresa è virtuosa o no. Grazie a questo strumento, costituito da un questionario – composto da poco meno di un centinaio di domande che spaziano dal business, alle certificazioni ambientali, dalla gestione del personale, ai rapporti con il territorio, dai fornitori sino all’innovazione tecnologica – saremo in grado di certificarne la sostenibilità. Questo è un esempio concreto  sul quale stiamo lavorando da più di un anno.

La popolazione invecchia. I giovani hanno cambiato l’idea del lavoro. Adesso hanno anche l’ecoansia. Come siamo messi con le esigenze di manodopera. Ovvero sta facendo bene il Governo sull’immigrazione?

Gli artigiani faticano a trovare giovani pasticceri, parrucchieri, falegnami,  lattonieri,  verniciatori, carpentieri, tornitori, etc. Molti mestieri sono a rischio estinzione, perché manca la manodopera e anche perché il calo demografico comincia a farsi sentire.
E non sempre gli immigrati hanno le competenze per “coprire” queste professioni.

E che si fa?

Credo che nel prossimo futuro dovremo sottoscrivere un patto sociale con chi, per ragioni economiche, vuole venire nel nostro Paese. Il cittadino straniero si impegna nel giro di 2/3 anni a imparare la lingua italiana e a frequentare uno o più corsi di formazione che gli consentano di imparare un mestiere, al termine di questo percorso lo Stato italiano gli deve assicurare il permesso di soggiorno, un’abitazione e un posto di lavoro.

E siamo capaci di mettere in piedi un’organizzare così?

Ovviamente, ci vorrebbe una macchina pubblica che funzionasse bene, penso ai Centri per l’Impiego e al mondo della formazione regionale, che, invece, non sempre hanno brillato per efficienza.

Del Pnrr avete capito qualcosa? Siamo in grado di portare a compimento i progetti? Cosa non si sta facendo che sarebbe opportuno focalizzare meglio?

È difficile dare una risposta a questa domanda, anche se le difficoltà che sono emerse in questi ultimi mesi sono la dimostrazione che faremo molta fatica a mettere a terra tutte le risorse che l’Europa ci ha messo a disposizione entro la metà del 2026.
Ancora una volta ci scontriamo con  l’inefficienza della nostra Pubblica Amministrazione che per ragioni diverse interessa sia lo Stato centrale che le sue articolazioni periferiche.

E siamo alle solite. Almeno il Veneto è sempre locomotiva d’Italia?

Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna  sono il motore economico del Paese. Da oltre 20 anni il nuovo triangolo industriale ha posizionato i sui vertici nelle aree metropolitane di Milano-Bologna-Venezia. Il Nordest ha soppiantato il Nordovest, le Pmi hanno scalzato le grandi imprese.
Certo, i problemi non mancano e i limiti di questi territori sono noti a tutti. Ma noi siamo fiduciosi che questa macro area può rappresentare un punto di forza dell’economia dell’Europa.

E quale regione dovrebbe proprio darsi una regolata per non restare proprio indietro?

Il Piemonte. I dati sono inequivocabili. La terra della Fiat, dell’Olivetti e delle grandi imprese ha subito negli ultimi 40 anni un arretramento economico e sociale molto evidente. È comunque una regione che ha grandi potenzialità, ma non è riuscita a reggere il profondo cambiamento che hanno condizionato,
in particolar modo, il settore dell’auto o dell’informatica.

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