Italia, fanalino di coda in Europa sulle infrastrutture stradali e cittadini sempre più insoddisfatti per la mobilità. Mentre persiste lo stallo di opere pubbliche che, in tutto, valgono due miliardi e mezzo di euro.
In dieci anni, dal 2010 al 2020, l’Italia ha speso complessivamente per la costruzione e manutenzione di infrastrutture di trasporto circa 98,3 miliardi di euro. Molto meno dei maggiori paesi europei. Gli investimenti hanno superato i 227 miliardi di euro in Germania, 223 in Francia e 186 in Gran Bretagna. Solo la Spagna ha fatto meno di noi con 90 miliardi di euro. Rispetto al Prodotto interno lordo (Pil) siamo intorno allo 0,4%, circa la metà dei nostri paesi di riferimento, come Francia (0,9%), Gran Bretagna (0,8%), Germania (0,7%) e Spagna (0,6%). È quanto emerge da una anticipazione del Rapporto “Sussidiarietà e… governo delle infrastrutture”, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, che sarà presentato in autunno.
Salvini: “Sono fiducioso”
Il ministro Salvini ha commentato dicendosi “fiducioso”. Che l’Italia ha “bisogno di sbloccarsi e guardare al futuro con fiducia e ambizione”, grazie anche al nuovo Codice degli Appalti. “La tendenza va cambiata”, ha concluso il ministro, “nei prossimi mesi ci saranno investimenti senza precedenti soprattutto per strade, autostrade, ferrovie e dighe.”
Cittadini insoddisfatti per strade e servizi
L’Italia, secondo il rapporto, è all’ultimo posto fra i 28 paesi Ocse per la soddisfazione degli utenti delle infrastrutture (trasporto, energia, telecomunicazioni, acqua, etc.): appena il 18%, rispetto alla media generale del 38% e ai maggiori partner europei come Francia (53%), Germania (51%) e Gran Bretagna (35%). Il 68% degli utenti italiani, inoltre, ritiene che non si sia fatto abbastanza per la realizzazione di infrastrutture, contro una media Ocse del 58%. Ben tre quarti degli utenti italiani (73%) ritengono che un incremento degli investimenti in infrastrutture contribuisca alla crescita del paese e crei nuovi posti di lavoro. Infine la conferma che il principale mezzo di trasporto usato in Italia sono le automobili private che rappresentano il 76% della mobilità delle persone, seguite da bus (10%) e treni (6%). La ricerca segnala poi la persistenza di grandi disparità territoriali nei servizi pubblici di trasporto, che penalizzano il sud.
Vittadini: serve “approccio sussidiario”
“Le infrastrutture di cui ha bisogno il Paese devono essere realizzate in modo sostenibile e coinvolgendo i territori e i corpi intermedi che rappresentano la società civile, invece di essere calate dall’alto”, osserva Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. “Il processo di consapevolezza delle popolazioni locali infatti non è una perdita di tempo, ma riguarda la sensibilizzazione a riguardo degli obiettivi di bene comune. Serve, insomma, un approccio sussidiario”.
L’anno scorso 367 opere incompiute
Infrastrutture dei trasporti al rilento e ancora un numero di incompiute che non accenna a essere, definitivamente, sbloccato. Il calo del 3%, infatti, significa una stabilità, quasi strutturale: non si va né avanti né indietro. Secondo l’Osservatorio del Ministero delle Infrastrutture, al 31 dicembre 2022 erano 367 le opere in stallo, contro le 379 dell’anno precedente. Per completarle occorrono più di 1,4 miliardi di euro. Il 70% sono nelle regioni del Mezzogiorno, 15% in Centro Italia e 11% al Nord. Le restanti opere sono 11 e sono di competenza dello Stato centrale. Tra questi i più corposi sono la Città dello Sport, a Roma, la cui stazione appaltante è il Demanio. Lavori fermi al 16%. La costruzione di strutture ricettive in località Rocchi del Comune di Rende, per complessivi 210 alloggi per studenti, dell’Università della Calabria, lavori fermi a poco più del 60%. E poi quasi tutte opere che non superano il 4 o 5% come i lavori di completamento delle opere edili ed impiantistiche al Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, fermi al 3% o il completamento della Cittadella giudiziaria a Latina, di fatto neppure iniziati (1,05%).
Sicilia più stalli, Trentino ok
Solo in Sicilia, regione più attardata di tutte le altre, sono censite 138 opere incompiute di cui una buona metà hanno superato percentuali di avanzamento lavori oltre il 30%. Le regioni più virtuose sono la Valle d’Aosta e le Province autonome Trentino e Alto Adige. Il Trentino, a essere precisi, non ha pubblicato il dato, ma si ritiene che, come gli anni scorsi non abbia opere incompiute. I dati sono raccolti e pubblicati dal Ministero delle Infrastrutture, aggiornati al primo semestre 2023, sulla piattaforma Servizio Contratti Pubblici in ottemperanza a quanto dispone il decreto ministeriale n.42/13. Tutte queste incompiute hanno un costo complessivo di circa 2 miliardi e mezzo, del 38% superiore al 2021. Mentre l’importo per l’ultimazione dei lavori è stabile negli anni presi in considerazione ed è circa 1,3 miliardi di euro.