venerdì, 26 Aprile, 2024
Il Cittadino

Pittelli e la riforma della giustizia

Giancarlo Pittelli, avvocato, ex parlamentare di Forza Italia, ha riacquistato la libertà dopo tre anni di custodia cautelare, scontati per la maggior parte in carcere e per il resto agli arresti domiciliari (attualmente gli è inibito l’esercizio della professione forense).

Pittelli ha una doppia accusa: la prima formulata dalla Procura antimafia di Catanzaro, concernente i presunti rapporti con le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese (il famoso maxi processo “Rinascita Scott”, di competenza del Tribunale di Vibo Valentia, ma celebrato nell’aula bunker di Lamezia Terme); la seconda accusa, formulata dalla Procura antimafia di Reggio di Calabria, per presunti rapporti con la cosca Piromalli di Gioia Tauro.

In entrambi i casi i giudici del Riesame hanno revocato le misure cautelari: la prima revoca un paio di mesi fa (ma senza effetti perché  Pittelli era detenuto per l’accusa di Reggio Calabria), la seconda lo scorso giovedì 16 marzo. La stampa nazionale e la TV non hanno data la notizia della revoca; o, se l’hanno fatto,  non l’hanno data con l’enfasi con cui era stato comunicato l’arresto.

Nella vicenda non sono imparziale.

Conosco Giancarlo Pittelli da quand’eravamo ragazzini e lui veniva con una Vespa 50, un foglio di giornale sotto la maglietta, da Copanello a Siderno, dove convergevo anch’io dalla vicina Locri, entrambi affascinati dagli occhi verdi di una ragazzina.

Da allora posso dirmi suo amico, anche se non abbiamo mai avuto una consuetudine. I nostri incontri sono stati sporadici, spesso casuali, ma il nostro rapporto cordiale non ne ha sofferto. Sono, inoltre, uno dei primi cento firmatari del comitato “Pittelli libero”, oggi movimento  “Riforma Giustizia”, che ha il suo centro di azione proprio sulla riforma della legislazione sulla carcerazione preventiva, dell’espiazione della pena prima della condanna.

La mia parzialità mi ha impedito e mi impedisce ogni affermazione in favore di Giancarlo Pittelli: anche negli oltre duecento articoli di questa rubrica “Il cittadino” l’ho citato soltanto per evidenziare che la sua carcerazione preventiva, da “presunto innocente”, si protraeva da più tempo di quella di Zaki, in Egitto, dove il limite massimo è stabilito in due anni.

Giancarlo Pittelli è due mesi più anziano di me. Ha compiuto i settant’anni il 9 febbraio scorso, agli arresti domiciliari. Io li dovrei compiere a giorni.

Ho molto pensato a lui allorché fu tradotto in carcere a Nuoro, in isolamento certamente (non ho mai capito se pure in regime di 41-bis).

Credo che al suo posto, sapendomi innocente, sarei impazzito. Perché, ragionavo, un colpevole incarcerato farà i conti con la sua coscienza e potrà darsi una ragione di quello che gli accade; ma un innocente non ha soluzioni, vede solo la sua vita distrutta.

Chi vivrà vedrà cosa succederà nei due processi, ben lontani dalla conclusione (credo che quello di Reggio di Calabria debba ancora iniziare) e in relazione ai quali l’imputato Pittelli – presunto innocente – ha già scontato un bel pezzo di pena.

Così che, da cittadino, confido molto nella riforma della carcerazione preventiva, da limitare solamente a casi estremi e con modalità ben diverse, considerando che con essa si priva della libertà un presunto innocente. Ma anche con l’obbligo di un processo immediato: se si arresta una persona è perché si è pronti a portarlo di fronte a un giudice (è l’habeas corpus, un istituto antico, non un’invenzione estemporanea). Se l’arresto fosse invece funzionale all’istruttoria, è bene ricordare che il sospetto di un uso strumentale del “tintinnio di manette”  non è una novità di oggi, mi pare se ne parlasse già nel ’92. E aggiungerei – se potessi dare un contributo alla riforma sempre più indispensabile – misure cautelari subordinate alla verifica che la detenzione è la sola inevitabile misura adottabile: perché se, sia pure dopo tre anni, un giudice revoca quegli arresti preventivi, significa che almeno un dubbio sulla effettiva inevitabilità delle misure cautelari esisteva dall’inizio.

Ma qui entrano in gioco altri fattori, che attengono tutti alla riforma della Giustizia: che perché sia reale ed efficace deve essere un divenire continuo e da sperimentare sul campo, contemperando ed equilibrando le contrapposte esigenze dei protagonisti del processo.

Accusa e difesa – come efficacemente va dicendo il vice ministro Francesco Paolo Sisto – devono essere poste alla stessa distanza da chi giudica.

Io, da civilista, chiederei al giudice di una mia causa di astenersi, se solo sapessi che si dà il “tu” con l’avvocato della controparte del mio cliente. Nel penale il “tu” tra giudice e p.m., colleghi addirittura interscambiabili, è la norma; la separazione delle carriere, anche per questo, è un evento ineluttabile.

Ma c’è anche un altro fattore da valutare, specie nelle fasi di avvio del processo penale, allorché l’accusa propone le misure cautelari: qui è un problema di equilibrio legislativo. Le Procure – lo dico sempre – si attengono alla legge e la legge oggi permette quella carcerazione preventiva.

Deve essere il legislatore, quindi, ad intervenire stabilendo che l’arresto preventivo costituisce un evento eccezionale e imponendo il massimo rigore nella ponderazione delle richieste. Perché l’errore giudiziario dopo un processo svoltosi in contraddittorio e con tutte le garanzie della difesa è sempre possibile; ma la detenzione preventiva, con le medesime modalità dei rei accertati (ciò che pure dovrebbe essere vietato), di una persona che poi potrebbe vedersi confermata la presunzione di innocenza che assiste ogni cittadino, è un evento che il legislatore dovrebbe in ogni modo cercare di scongiurare: proprio per affermare la maggiore forza dello Stato di fronte a qualsiasi crimine e a qualsiasi organizzazione criminale.

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