venerdì, 29 Marzo, 2024
Società

Social network alla sbarra per il suicidio di un’adolescente

I social accusati di istigazione all’omicidio. Tante volte si era ipotizzato un ruolo attivo dei nuovi mezzi di comunicazione nella diffusione di brutte pratiche – interiorizzate dai soggetti più fragili – e che spingono le personalità particolarmente deboli a compiere gesti estremi. Ma stavolta c’è la prima sentenza al mondo che accusa i social network di aver spinto al suicidio un’adolescente.

Venerdì scorso la Corte inglese ha stabilito che la colpa della morte della giovane londinese Molly Russel, una quattordicenne che si tolse la vita nel 2017, è da imputare al funzionamento dell’algoritmo dei social che, una volta “compresi” gli interessi degli utenti per determinati argomenti, mostrano continuamente contenuti di analogo tenore, esponendo in particolare soggetti deboli e in precario stato di salute a compiere gesti estremi.

La storica sentenza di condanna

È il caso proprio della giovane Molly che, soffrendo già di ansia e depressione, cercava sul web contenuti drammatici e dolorosi. L’algoritmo, di conseguenza, ha avviluppato la piccola ragazzina all’interno di una “bolla”, mostrandole continuamente argomenti in linea con i suoi interessi, un vero e proprio bombardamento di informazioni tetre, lugubri e fosche, che hanno avuto il risultato di rafforzare in lei il convincimento di farla finita e spingendola a togliersi la vita.

Solo negli ultimi sei mesi di vita, hanno accertato i periti, Molly avrebbe interagito con più di 2.100 post su Instagram avente un solo tema, ovvero l’autolesionismo e la morte, provocando nella già precaria mente della piccola l’angoscia di vivere. Secondo i medici legali la piccola “è morta per un atto di autolesionismo mentre soffriva di depressione e per gli effetti negativi dei contenuti online“.

Le scuse di Meta e la riflessione sul futuro

Elizabeth Lagone, responsabile delle politiche per la salute e il benessere di Meta (proprietaria di Facebook e Instagram), ha riconosciuto che alcuni post e video avevano infranto le linee guida di Instagram, che proibivano la glorificazione, l’incoraggiamento e la promozione del suicidio e dell’autolesionismo. “Siamo dispiaciuti che Molly abbia visto contenuti che hanno violato le nostre politiche“, ha dichiarato la manager.

Tutti adesso si augurano che tale pronuncia rappresenti un punto di svolta per la Silicon Valley. Il processo, infatti, ha messo in luce come le decisioni commerciali e di progettazione delle piattaforme tecnologiche possono provocare tragici danni nel mondo reale, oltre che essere facilmente accessibili a tutti, minori compresi.

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