venerdì, 26 Aprile, 2024
Lavoro

Il lavoro c’è, mancano i lavoratori. I frutti perversi dell’assistenzialismo

6.6 miliardi del Pnrr da destinare ad una migliore formazione, alla riforma del mercato del lavoro e ad aumentare le retribuzioni.

Questo fine settimana è contrassegnato oltre che dal conflitto in Ucraina e dalla sua pericolosa imprevedibilità, da molto temi di politica nazionale. C’è un argomento che appare il più controverso di tutti, quello del lavoro. O meglio del mancato incrocio, che gli economisti definiscono con “Mismatch”, tra domande e offerte di lavoro. Ci sono richieste per centinaia di migliaia di posti liberi, soprattutto, si cerca personale specializzato, ma anche lavoratori di ogni grado e ruolo. Nel contempo rimangono insoddisfatte la maggior parte delle richieste. Sull’altra sponda, il mondo del lavoro sollecita più occasioni di impiego, maggiori soddisfazioni professionali e remunerative. In cifre I disoccupati sono 2 milioni 74mila. Mentre gli occupati tornano sopra quota 23 milioni. A questi 23 milioni chiediamo tutto in termini di impegno, tasse, e il mantenimento di un sistema previdenziale che vede 17 milioni 749 mila di assistiti.

Imprese e inoccupati

La prima osservazione che viene da sottolineare, che entrambi i fronti hanno ragione. Lo sconforto degli imprenditori che devono ridurre le attività produttive perché non hanno manodopera, tecnici e molte figure di laureati; sia la sfiducia di quanti pronti al lavoro chiedono salari alti e condizioni ottimali di lavoro.

Vediamo nel dettaglio

Se analizziamo un po’ meglio il tema, ci accordiamo che alcuni capitoli sono da scrivere. E partiamo da una riflessione di un economista del calibro di Milton Friedmnan, premio Nobel per l’economia del 1976, con una frase lapidaria che andrebbe ricordata ai parlamentari: “Se paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora cosa altro vuoi aspettarti?”. Ecco un punto su cui possiamo concentrarci. Lo abbiamo già scritto in altre occasioni, ma torniamo a sottolineare, un fatto. Nel Paese ci si concentra troppo sulle scelte assistenziali, parliamo di miliardi per misure come Reddito di cittadinanza e altri incertivi, e non sulle politiche attive del lavoro. Si disincentiva chi lavora e produce, allora la crisi delle imprese e della occupazione sarà sempre più grave. Ne abbiamo già i segnali. Con il timore che possa innescarsi una “bomba sociale” sottovalutiamo l’altro aspetto, ossia il blocco della produzione per mancanza di addetti. Pur in presenza di un dibattito acceso, nessuno ha detto che non bisogna aiutare chi è in difficoltà, chi ha momenti di crisi economica, persone e famiglie indigenti, ma quello che si ripete da più fronti è altro.

I numeri del disastro

Un breve calcolo ci racconta che ogni posto di lavoro “creato” con il Reddito di Cittadinanza è costato allo Stato almeno 52 mila euro. Oltre il doppio di quanto spende annualmente un imprenditore privato per un operaio a tempo indeterminato full time che, mediamente, costa attorno ai 25 mila euro. Ecco già una cosa da fare riflettere e trovare un correttivo. Andando avanti troviamo che complessivamente nei suoi primi tre anni, per il Reddito di cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza sono stati erogati a 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone, e per una spesa di quasi 20 miliardi di euro. Se analizziamo cosa si fa per creare il lavoro vero pagato bene, i numeri sono altrettanto preoccupanti ma per difetto. Si dedica solo lo 0,2% del Pil ai servizi e alle misure di attivazione di lavoro e di riduzione della disoccupazione. Se la confrontiamo con la spesa passiva (“vecchiaia e superstiti”) queste voci assorbono percentuali rilevanti del Pil, oltre il 16%. La situazione rischia di aggravarsi con la crescita delle nuove forme di lavoro, sempre più discontinue e povere.

Tridico, Inps e conti a rischio

Ieri nel dibatto su domanda di lavoro e la crisi dell’offerta, è intervenuto il presidente dell’Inps Pasquale Tridico con una intervista al Messagero, alla prima domanda sui “Posti che restano scoperti” ha replicato che per il suo Istituto non è così, anzi che in un concorso per 2 mila assunzioni che “verranno fatti salire a settemila, hanno risposto in sessantasettemila”. Buon per l’Inps. Tridico inoltre ha fatto una osservazione importante, “Se la domanda di lavoro non soddisfa l’offerta allora questa ultima deve adeguare le sue condizioni”. Quindi stipendi più pesanti, condizioni ottimali di lavoro, meno ore lavorate. Una proposta migliorativa e affascinante. Allora dovremmo dire anche altro, ad esempio, basta spese improduttive che assistono persone che non vogliono lavorare, oppure troppi giovani non hanno intenzione né di studiare, né di lavorare tantomeno formarsi per una occupazione. Eppure questi giovani che in Italia hanno raggiunto il massimo, i cosiddetti “Neet” hanno superato i 3 milioni e rappresentano il 25,1% dei giovani italiani, vivono e sono consumatori. Grazie anche al fatto che nel Paese ci sono 5 nonni per un nipote. Quale proposta di lavoro può essere più allettante di un divano anche ben pagato?

Da Pnrr le nuove possibilità

I giovani però sono il futuro e su di loro è importante investire. Come è noto il Piano nazionale di Ripresa mette al centro investimenti per le future generazioni. Un fatto positivo perché farà evolvere anche il mercato del lavoro. Per questo motivo la missione “numero 5” del Piano dedica oltre 6 miliardi alle politiche attive del lavoro e alla formazione. I fondi ci sono ma c’è anche un problema, servono percorsi adeguati e anche infrastrutture nuove per far incontrare lavoratori e imprese, altrimenti l’esito dei miliardi da spendere è a rischio. In più come si sottolinea dal mondo del welfare, anche nella migliore delle ipotesi, il 2022 assegna alla politica del lavoro il difficile compito di provare a rimontare i 10 punti che dividono il nostro tasso di occupazione da quello medio europeo. Il che significa che le politiche attive per l’occupazione, la formazione continua e l’accompagnamento al lavoro, da sole non basteranno se non si apre una seria discussione su come favorire la mobilità del lavoro, disincentivando il ricorso a strumenti puramente assistenziali. Abbiamo questa ultima possibilità offerta dal Piano nazionale di Ripresa per ridurre assistenzialismo e sprechi, e dare forza e più soldi a chi lavora, si innova e crede nel futuro. Sbagliare questa mossa significa finire in un baratro.

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