lunedì, 2 Dicembre, 2024
Il silenzio delle parole

La presa di Balarm. Ancora su Ethos Pathos Logos

Il mio articolo su Ethos Pathos Logos ha suscitato curiosità e attenzioni. Un’amica mi ha scritto “Puoi rendere pubblico il testo La presa di Balarm?”. Certo che posso, si tratta di poche righe destinate – come ho scritto la settimana scorsa –  a un a ragazzino che all’epoca dei fatti aveva soltanto 9 anni, mio figlio Ludovico. Con lui registrai un successo, limitandomi a raccontare fatti di cui ero stato protagonista in una mia precedente vita, quasi un millennio prima (la narrazione è nel mio Il viaggio più lungo, volume primo della Trilogia di un sogno diverso di prossima pubblicazione), ecco il testo:

“La presa di Balarm. La primavera era nell’aria, era l’alba profumata di gelsomino di un giorno di fine inverno dell’anno 1072. Grida arabe svegliavano la città: «Alle armi! Alle armi! Difendiamo la nostra Balarm! I pirati sono sbarcati e ci attaccano via terra a est. Anche la flotta pirata ci minaccia dal mare. Le fanterie si schierino all’arma bianca per fronteggiare il nemico. I marinai alle barche, innalzino le vele. Le donne, gli anziani e i bambini abbandonino la città per la via dei monti. Avanti le artiglierie verso est, via terra, a gittata lunga e verso mare   sulla flotta nemica. Popolo difendi Balarm strada per strada, casa per casa. Difendi la terra e la religione, le donne e i figli.

Non una testa resti attaccata al corpo dei nemici. Viva Balarm e la nostra grande Civiltà»”.

Sappiamo dalla storia che Balarm cadde, i Normanni la conquistarono (in chiave metempsicosi: “la conquistammo”) e con essa conquistarono tutta la Sicilia e buona parte del Sud Italia aprendo una pagina gloriosa della città di Palermo che divenne sede principale del Sacro Romano Impero con Federico II di Svevia e culla della Scuola Siciliana a Corte, segnalata dai maggiori critici come sede di formazione dei prodromi letterari del Dolce Stil Novo.

Ma torniamo al tema del Ethos Pathos Logos. Cosa sedusse Ludovico di quel racconto breve? Perché la mia arte retorica funzionò? Seguiamo la traccia del pensiero di Aristotele, punto per punto.

Primo l’Ethos. Se Ethos c’è stato nella storia raccontata, esso è da rintracciare intorno al carisma paterno che racconta favole al figlio più piccolo e ama coinvolgerlo in discussioni complesse ma interpretate in modo intellegibile, con riferimento a fatti storici, un po’ romanzati, di assoluta essenzialità. Credo che abbia avuto presa sull’attenzione del ragazzo, a monte di questa storia, il fatto di sentirsi trattato da adulto nei momenti topici del rapporto educativo, magari durante un sermone genitoriale. Cito in tal senso la famosa perentoria frase di nonno Gioacchino: “Grandi si diventa da piccoli!”. Quindi la mia domanda-tormentone di rito rivolta a Ludovico: “Quando si diventa grandi?”. E la risposta d’obbligo, anche ad evitare pedanterie pedagogiche aggiuntive: “Da piccoli, papà!”.

Secondo punto il Pathos. Sfido chiunque a sostenere con successo che la presa manu militari di una città, peraltro vissuta dalla prospettiva narrativa dell’aggredito non presenti un suo carico di Pathos. In ogni caso, mio figlio questo Pathos lo colse, al punto da non fargli sbagliare una parola mentre scriveva il testo sotto dettatura.

In fine il Logos. Stavamo andando a visitare Palermo, mitica città d’origine dei Merlo – prevengo gli amici piemontesi e lombardi: Merlo è un cognome d’origine spagnola, De Merlos di Santa Elisabetta, presente in Sicilia ed anche nel nord Italia per evidenti connessioni storiche relative alle dominazioni spagnole nella penisola – e quindi nella visita della città c’è tanto Logos di storia familiare ma soprattutto di antica capitale, confine millenario culturale e politico fra Oriente e Occidente.

Riassumiamo gli elementi della retorica aristotelica del narratore verso l’ascoltatore: detenzione/conquista della buona reputazione (ethos), trasmissione di una passione narrante (pathos), conferimento di un ordine razionale delle cose (logos).

La retorica è dunque la capacità di fondare un linguaggio riconoscibile. Un buon uso della retorica è rilevante in tutte le relazioni umane (fermarsi a salutare il vicino di casa richiede adeguata retorica), costituisce un buon investimento che ci consente di irrobustire l’Ethos per future relazioni con il mondo, per poi ricominciare con nuovo Pathos e nuovo Logos.

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