sabato, 20 Aprile, 2024
Sport e Fair Play

Il contrasto al doping: storia, prevenzione e repressione

Quale è stata l’evoluzione della disciplina antidoping sul piano internazionale, e quale il ruolo delle istituzioni internazionali, politiche e sportive?
La normativa internazionale antidoping persegue una duplice finalità: da un lato garantire la credibilità delle competizioni sportive, e dall’altro tutelare la salute degli atleti, ad ogni livello.

Si tratta di un tema delicato e pervasivo che, per questa sua natura trasversale e universale, ha visto occuparsene le principali organizzazioni internazionali – come il C.I.O. (Comitato Olimpico Internazionale), l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa e l’U.N.E.S.C.O. (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) – ovviamente in frequente collaborazione, sia con i singoli Stati nazionali sia con i Comitati olimpici nazionali.

Già nel 1967 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottava una risoluzione finalizzata a stigmatizzare l’assunzione “di sostanze estranee all’organismo o di sostanze fisiologiche in qualità o per via anomala, al solo scopo di influenzare artificialmente ed in modo sleale la prestazione sportiva”.

Nel 1975, l’articolo 5 della neo-sottoscritta “Carta Europea dello Sport” prevedeva che “devono essere adottate misure per salvaguardare lo sporto e gli sportivi da ogni sfruttamento a fini politici, commerciali o finanziari e da pratiche avvilenti ed abusive come l’uso di droghe”.

Nel 1989 il Consiglio d’Europa, con la Convenzione di Strasburgo contro il doping, entra direttamente nel merito del “fenomeno doping”, impegnando gli Stati ad adottare le opportune misure finalizzate a ridurre la disponibilità e controllare la circolazione, la detenzione, l’importazione, la distribuzione e la vendita delle sostanze dopanti, anche attraverso meccanismi di controllo periodico, in collaborazione con le organizzazioni sportive e nel presupposto di svolgere anche capillari campagne di educazione e informazione.

Si tratta del primo strumento di diritto internazionale pubblico in materia, che si pone all’origine delle politiche nazionali antidoping e della collaborazione intergovernativa in materia, recepito dall’Italia con la Legge 522/95.

Nel maggio del 1999, in Grecia (e, più precisamente, a Olimpia) si è svolta la prima Conferenza europea sullo sport, all’esito della quale è emersa l’esigenza di dare vita ad una piattaforma comune contenente l’elenco dei prodotti dopanti e, in quanto tali, vietati.

Sempre nel 1999 si è tenuta la Prima Conferenza Mondiale sul doping nello sport, con la partecipazione di rappresentanti dei Governi, della Associazioni non Governative, del C.I.O., delle Federazioni sportive internazionali, dei Comitati olimpici nazionali e degli atleti. Nel corso di questa Conferenza è stata adottata la Dichiarazione di Losanna, nella quale si afferma che il doping contravviene all’etica sportiva e medica, inficia l’integrità dello sport e costituisce una violazione delle regole stabilite dal Movimento Olimpico, mettendo a rischio la salute degli atleti.

Nel 2002 il Consiglio d’Europa ha adottato un Protocollo addizionale alla Convenzione di Strasburgo contro il doping del 1989, volto a garantire il mutuo riconoscimento dei controlli antidoping e a rafforzare l’applicazione della Convenzione stessa.

Con il Libro bianco sullo sport del 2007 – con il quale la Commissione Europea si è posta l’obiettivo di assicurare che tutte le aree della politica europea tenessero in considerazione la dimensione sportiva – l’approccio alla lotta al doping assume un carattere maggiormente coordinato, attraverso l’assunzione di posizioni comuni tra il Consiglio d’Europa, la W.A.D.A. (World Anti-Doping Agency, a proposito della quale si farà un cenno in seguito), l’U.N.E.S.C.O., nonché per mezzo dello scambio di informazioni e di buone pratiche tra Governi, organizzazioni antidoping e laboratori nazionali di analisi.

Sempre la Commissione Europea ha contribuito allo studio e all’analisi del fenomeno del doping anche attraverso pubblicazioni sul tema, tra le quali si segnalano – in particolare – uno studio sulla prevenzione del doping del 2014 e uno studio sul rapporto tra antidoping e protezione dei dati personali, del 2017.

Il Consiglio d’Europa, nell’ambito del Terzo Piano di lavoro per lo sport 2017/2020, che ha affrontato il tema dell’integrità nello sport, ha incluso anche il tema della lotta doping, che risulta incluso contenuto anche nel Programma Erasmus+, che si propone di contrastare le minacce transnazionali all’integrità nello sport, come il doping, l’alterazione dei risultati delle competizioni, la violenza, l’intolleranza e la discriminazione.

Il doping è un fenomeno transnazionale, che necessita di risposte univoche e uniformi su scala mondiale. Come è intervenuto il C.I.O. per garantire questo tipo di approccio?
Il Programma Mondiale Antidoping si articola attraverso tre livelli:

  1. Il Codice Antidoping
  2. Gli standard Internazionali
  3. I modelli di Migliore Pratica e le Linee Guida

Il Codice Antidoping del Movimento Olimpico mondiale costituisce la base comune per la lotta al doping, costituisce il principale strumento di armonizzazione della disciplina anti-doping e non si può far riferimento a esso senza menzionare la World Anti-Doping Agency (W.A.D.A.).

Infatti, per uniformare e gestire in maniera indipendente l’attività di contrasto al doping, fu istituita, con sede a Losanna, una Agenzia Internazionale –, per l’appunto la World Anti-Doping Agency (W.A.D.A.) – inizialmente come fondazione privata di diritto elvetico (10 novembre 1999), poi divenuta operativa dai Giochi della XXVII Olimpiade di Sydney (anno 2000).

La W.A.D.A. nacque dalla necessità di superare la logica dell’applicazione delle norme antidoping su base nazionale – con le inevitabili conseguenze di distorsioni e disparità, divenute evidenti e non più giustificate o giustificabili – definendo un apparato di regolamentazione e applicazione uniforme, svincolato totalmente dagli ambiti nazionali e demandato ad una unica regia sovranazionale, costituita, appunto, dalla W.A.D.A..

La W.A.D.A. è una organizzazione non governativa, costituita dal CIO, attualmente in Canada (a Montreal) Canada, e ha come principale funzione quella di pubblicare, con cadenza annuale, la lista delle sostanze e dei metodi proibiti nella pratica sportiva, riferimento per le Agenzie nazionali anti-doping.

La W.A.D.A.  è composta da un organismo di vertice, il Foundation Board, da una Commissione Esecutiva e da diverse Commissioni. La Foundation Board è composta, a sua volta, da rappresentanti dei Governi e del Movimento Olimpico internazionale, ed è il massimo organo decisionale dell’Agenzia; la Commissione esecutiva è composta da 12 membri, rappresentativi in maniera paritetica dei Governi e del Movimento Olimpico.

Le altre Commissioni svolgono funzioni consultive, nell’ambito dell’attività volta al perseguimento degli scopi dell’Agenzia.

Con la Dichiarazione dei Copenaghen sulla lotta al doping sportivo del 2003 è stato sostenuto e riconosciuto a livello internazionale il ruolo della W.A.D.A. e del suo Codice Mondiale Antidoping, stabilendo il cofinanziamento della W.A.D.A. stessa da parte delle Autorità Pubbliche e del Movimento Olimpico Mondiale.

Nel 2005 l’U.N.E.S.C.O. ha adottato la Convenzione Internazionale contro il doping, ratificata dall’Italia con la Legge 230/2007, prendendo atto della necessità di incoraggiare e coordinare la cooperazione internazionale al fine di eliminare il doping dallo sport, alla luce delle sue conseguenze sulla salute degli sportivi, della necessaria osservanza del principio del gioco corretto, della necessità di eliminare le frodi dal mondo dello sport e di assicurare ad esso un futuro, impegnando gli Sati aderenti a rispettare i principi sanciti dal Codice Mondiale Antidoping, incoraggiando la cooperazione internazionale in materia e incoraggiando l’ideazione ed attuazione di programmi di educazione, formazione e ricerca nel campo del doping.

Tornando al Codice Mondiale Antidoping, è stato adottato per la prima volta nel 2003, in occasione della Seconda Conferenza Mondiale del doping nello sport, ed ha subito importanti revisioni nel 2015, nel 2018 e nel 2019; dal 1° gennaio 2021 è in vigore una quinta, e per ora ultima, versione.

Al di là della indubitabile severità delle previsioni sanzionatorie, costituisce – anche e soprattutto – un fondamentale strumento di diffusione della cultura antidoping, impegnando tutte le componenti dell’ordinamento sportivo – ad ogni livello – a favorirne la diffusione e la conoscenza, oltre al rispetto dei dettami.

Il Codice, nella cornice della consapevolezza che il doping è contrario allo spirito dello sport, richiama i seguenti, importantissimi principi ispiratori:

  •  il rispetto per l’Etica, il Fair Play e l’Onestà;
  •  la tutela della Salute;
  •  il perseguimento dell’Eccellenza nella Prestazione;
  •  le doti di Carattere e di Educazione;
  •  lo spirito di Divertimento e Gioia;
  •  la propensione al Lavoro di Gruppo;
  •  lo spirito di Dedizione e l’Impegno;
  •  il rispetto assoluto di Leggi e Norme;
  •  il rispetto per sé stessi e per gli altri partecipanti alle competizioni;
  •  il Coraggio;
  •  lo spirito di Unione e Solidarietà.

Il Codice Mondiale Antidoping è implementato dagli Standard Internazionali, con riguardo a:

  • lista delle sostanze e dei metodi che costituiscono doping;
  •  modalità di controllo e investigazione;
  •  requisiti di accreditamento e funzionamento dei Laboratori di Analisi, al fine di uniformare procedure, condotte e attendibilità dei risultati;
  •  modalità di esenzione per fini terapeutici;
  •  modalità di rispetto dei dati personali.

Come si è declinata in Italia l’attività di prevenzione e contrasto al doping e come si armonizza, oggi, il contesto nazionale con quello delineato dal C.I.O.?
In Italia, la prima legge in materia di tutela sanitaria dell’attività sportiva risale al 1950, ma fu totalmente abrogata con l’entrata in vigore della Legge 1099/1971 che, in conseguenza della costituzione delle Regioni e del trasferimento ad esse della competenza in materia sanitaria, devolveva alle stesse anche la disciplina della tutela sanitaria sportiva. Con tale norma, per la prima volta, la detenzione, la somministrazione e l’utilizzo di sostanze potenzialmente nocive per la salute o in grado di modificare artificialmente le prestazioni atletiche vengono qualificate come illecito penale, improvvidamente depenalizzato con la successiva Legge 689/1981. Con l’entrata in vigore della Legge 401/1989 in tema di frodi sportive ci fu il tentativo – assai discusso in dottrina – di estenderne l’applicabilità anche ai casi di doping.

La materia, infatti, non è di interesse soltanto per la legislazione sportiva, ma anche per quella nazionale, poiché il doping costituisce, comunque, un illecito anche per la legge ordinaria.

La definitiva regolamentazione della materia nell’ordinamento dello Stato italiano deve ricondursi alla Legge 376/2000, che definisce in materia puntuale cosa deve intendersi per doping, disciplina la tutela sanitaria delle attività sportive e codifica le modalità di lotta al doping, individuando sostanze e metodi nel rispetto del contesto definito dalla Convenzione di Strasburgo, dalle indicazioni del CIO e degli altri organismi internazionali in materia, tenendo conto della loro periodica revisione.

L’articolo 1 della Legge 376/2000 propone una sintesi definitoria di ciò che costituisce “doping”, individuandolo ne: “La somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche non giustificate da condizioni patologiche o idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

La Legge italiana si fonda, quindi, principalmente in riferimento all’art. 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute, in un contesto complementare a quello determinato in ambito sovranazionale, da un lato dall’Unione Europea e dall’altro dal C.I.O., quest’ultimo per i profili squisitamente sportivi.

Del resto, in ossequio al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, la Legge 220/2003 riserva al contesto sportivo la disciplina delle questioni relative all’osservanza e all’applicazione delle norma regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, negli ambiti finalizzati alla garanzia del coretto svolgimento delle competizioni sportive, nonché la disciplina delle questioni relative ai comportamenti rilevanti sotto il profilo disciplinare e la conseguente irrogazione e applicazione delle conseguenti sanzioni disciplinari.

Tuttavia, a chiunque procuri, somministri, assuma o favorisca l’utilizzo di farmaci, sostanze o pratiche ritenute dopanti e non giustificate da condizioni patologiche, e tali da determinare una alterazione delle prestazioni degli atleti, si applicano severe disposizioni penali, ai sensi dell’art. 586bis del Codice Penale.

Le norme procedurali per l’effettuazione dei controlli antidoping sono contenute nel D.M. 14 febbraio 2012; in base all’art. 1 di tale Decreto i controlli vengono svolti direttamente dal Comitato Tecnico Sanitario attraverso la Sezione adibita alla vigilanza e controllo sul doping e avvalendosi dei N.A.S. dell’Arma dei Carabinieri, ma solo qualora si tratti di attività non rientranti tra quelle previste e regolate dal Codice Mondiale Antidoping della W.A.D.A. e dai relativi Standard Internazionali, in relazione ai quali in Italia trovano applicazione le Norme Sportive Antidoping.

Gli ambiti di rispettiva competenza, tra attività dello Stato e contesto sportivo, sono stati convenuti con un Atto di Intesa sottoscritto nel 2007 tra il Ministro della Salute, Il Ministro per le politiche giovanili e le Attività Sportive e il Presidente pro-tempore del C.O.N.I..

In Italia, inizialmente, l’Organizzazione Nazionale Antidoping era inserita nel C.O.N.I. ma, successivamente, è stato istituito un organismo che agisce in piena indipendenza ed autonomia, la N.A.D.O. Italia, con responsabilità esclusiva in materia di adozione e applicazione delle norme antidoping, in conformità al Codice Mondiale Antidoping della W.A.D.A., in ragione della ratifica della Convenzione Internazionale contro il doping nello sport adottata dall’U.N.E.S.C.O., di cui la N.A.D.O. Italia è firmataria.

La N.A.D.O. Italia effettua i test antidoping sugli atleti in competizione e fuori competizione, e si avvale degli ispettori medici qualificati dalla Federazione Medico Sportiva Italiana (F.M.S.I.) nonché del Laboratorio Antidoping di Roma, accreditato dalla W.A.D.A. sul territorio nazionale, o di altri laboratori parimenti accreditati dalla W.A.D.A..

La N.A.D.O. Italia svolge, quindi, i controlli nei confronti di tutti gli atleti provvisti di cittadinanza italiana, residenti in Italia, titolari di licenza o tesserati per organizzazioni sportive italiane ovvero che rendono parte a una manifestazione sportiva nazionale o che sono presenti sul territorio nazionale, ed è sottoposta alla puntuale vigilanza e verifica da parte della W.A.D.A., nei cui confronti la N.A.D.O. Italia risponde.

La N.A.D.O. Italia vede al proprio vertice un Presidente, operativamente coadiuvato da un Direttore Esecutivo, un Consiglio interno di Sorveglianza e un Comitato Esecutivo.

Vi è poi un Comitato Controlli Antidoping che approva il Piano di distribuzione dei controlli in competizione e fuori competizione, individuando anche i criteri di inclusione degli atleti nel Gruppo Registrato ai fini dei controlli e le procedure relative alla reperibilità degli atleti stessi.

Sotto il profilo della ricerca e della formazione antidoping agisce il Comitato per l’educazione e la formazione antidoping, che pianifica, monitora e valuta annualmente i programmi di formazione realizzati dalla N.A.D.O. Italia.

Sotto il profilo giudiziario, la Procura Nazionale Antidoping ha competenza sulla gestione dei risultati e sull’accertamento delle responsabilità di coloro che abbiano messo in atto un comportamento in violazione delle Norme Sportive Antidoping, mentre il Tribunale Nazionale Antidoping è competente a giudicare, in primo grado, per tutte le violazioni delle Norme Sportive Antidoping.

A seguito dell’entrata in vigore, il 1° gennaio 2021, del nuovo Codice Mondiale Antidoping, la N.A.D.O. Italia ne ha recepito le disposizioni nelle Norme Sportive Antidoping, costituite da un corpo normativo unitario costituito dal Codice Sportivo Antidoping strettamente inteso, dalle Procedure di Gestione dei Risultati e dal Documento Tecnico per i controlli e le investigazioni.

Le Norme Sportive Antidoping sono approvate dalla W.A.D.A. in lingua inglese, e poste a disposizione del pubblico in italiano sul sito Internet della N.A.D.O. Italia.

La nuova stesura delle Norme Sportive Antidoping enfatizza ulteriormente sia i profili di tutela della salute degli atleti sia i profili di garanzia dei loro diritti e ha introdotto alcune nuove definizioni riguardanti il concetto di “in competizione”, quello di “educazione” e quello di “intenzionalità”.

Sono, inoltre, state introdotte le definizioni di “indipendenza operativa” e di “Indipendenza Istituzionale”; in virtù di tali principi, l’organismo nazionale antidoping deve essere operativamente e sostanzialmente indipendente dall’organismo che è responsabile della gestione dei risultati dei controlli. Per questa ragione, il secondo grado di giudizio avverso le decisioni di primo grado, è demandato ad una Corte Nazionale di Appello Antidoping, istituita fuori dal perimetro della N.A.D.O. Italia, competente sia a decidere sui ricorsi averso le decisioni del Tribunale Nazionale Antidoping, sia in merito alle decisioni relative alle istanze di esenzione per fini terapeutici adottate dal Comitato Esenzioni a Fini Terapeutici della N.A.D.O. Italia. Vi sono poi altre definizioni, relative allo status degli atleti, alla classificazione delle sostanze dopanti e alle informazioni sulla reperibilità degli atleti.

La N.A.D.O. Italia ha, anche, recepito le fattispecie sanzionatorie previste a carico delle Federazioni Sportive Nazionali o di qualsiasi altro organismo sportivo, in caso di mancata collaborazione nell’attuazione del programma nazionale antidoping o di mancato rispetto delle sue prescrizioni. Tutti i soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, infatti, siano essi singole persone o organizzazioni complesse sono tenuti a conoscere e rispettare le norme sportive antidoping e a collaborare con la N.A.D.O. Italia, sotto la cui giurisdizione ricadono senza eccezioni.

Le Norme Sportive Antidoping disciplinano in dettaglio comportamenti e responsabilità che Atleti, Società e Personale di supporto devono osservare per conformarsi alle direttive antidoping, mentre, nel contesto del Codice Sportivo Antidoping, recepiscono annualmente, senza particolari formalità. la lista W.A.D.A delle sostanze e dei metodi che costituiscono doping.

Il Codice Sportivo Antidoping regola anche, in modo puntuale e recependo gli Standard Internazionali per le esenzioni a fini terapeutici, le disposizioni relative a tali casistiche e alla loro gestione, particolarmente delicata e suscettibile di una puntuale e accurata istruttoria finalizzata ad evitare abusi o elusioni delle norme vigenti.

Il Codice Sportivo Antidoping dettaglia, quindi, le singole violazioni e le modalità di svolgimento dei controlli e le relative misure di sicurezza finalizzate a garantire la riproducibilità delle procedure, evitare manomissioni e/o competizioni e a garantire la protezione dei dati personali dell’atleta o, comunque, del soggetto sottoposto a controllo, in favore del quale opera comunque una sostanziale inversione dell’onere della prova, dovendo la N.A.D.O. Italia provare l’avvenuta violazione di una disposizione antidoping, ancorché in sede di giudizio la condanna non debba basarsi sulla formazione di una prova in grado di resistere oltre ogni ragionevole dubbio, seppur si richieda un parametro superiore al semplice equilibrio delle probabilità.

Per quanto riguarda il coinvolgimento del sistema di giustizia disciplinare (Procura Federale e Procura Generale dello Sport, Tribunale Federale e Corte Federale d’Appello), questo resta estraneo all’accertamento, al giudizio e alla sanzione in materia di doping, venendo coinvolto soltanto in caso di inadempienza e/o inosservanza rispetto alla sanzione comminata. La Procura Generale dello Sport, inoltre, è chiamata a dirimere le eventuali controversie in tema di conflitto di attribuzioni tra la Procura Nazionale Antidoping e le singole Procure Federali.

Quali sono le conseguenze delle violazioni alle norme antidoping e quali i margini di miglioramento sul piano della prevenzione del fenomeno?
Va rilevato come le conseguenze di una violazione accertata delle norme antidoping siano particolarmente pesanti, potendo determinare la invalidazione dei risultati conseguiti nel corso delle competizioni risultate alterate, con conseguente perdita di medaglie, punti e premi. Inoltre, da tale violazione, può discendere una squalifica o una inibizione tale da impedire la partecipazione a qualsiasi competizione, attività o finanziamento, temporaneamente o per un periodo più o meno lungo di tempo, circostanza che può abbinarsi anche alla condanna al pagamento di somme a titolo di sanzione e di rimborso dei costi derivanti dalla violazione attuata e alla generale diffusione della notizia della violazione commessa.

Tuttavia, a dispetto di una previsione così dettagliata e severa, di meccanismi di controllo e di garanzia estremamente sofisticati –, diretti attraverso una puntuale e regia sovranazionale-, una efficace attività di prevenzione in materia antidoping è possibile solo a fronte di una capillare azione di coinvolgimento e sensibilizzazione dei giovani, attraverso un’azione mirata ed efficace di informazione e formazione finalizzata a creare in loro una adeguata “cultura antidoping”.

Questo obiettivo non può che vedere coinvolte, oltre alle organizzazioni e istituzioni sportive, anche le due principali “agenzie” culturali e formative a contatto con i giovani:

  1. a) le famiglie, che dovranno evitare di caricare sui figli la sindrome del successo e del risultato ad ogni costo, magari per compensare insuccessi genitoriali del passato o vagheggiando un futuro di lusso e benessere conseguente al successo e alla fama conseguiti attraverso la pratica sportiva di successo. Al contrario, la famiglia può e deve costituire un luogo dove il giovane viene aiutato a costruire una solida autostima, a relativizzare l’importanza del risultato per costruire un substrato psicologico e motivazionale in grado di resistere alle sirene della pressione sociale e al circolo vizioso costituito dall’intreccio di aspettative troppo elevate, illusioni momentanee, cocenti delusioni e frustrazione permanente, suscettibile – all’occorrenza e in casi limite – di essere lenita attraverso l’indulgere a pratiche scorrette quando non del tutto illegali o di trascinare il soggetto in un vortice autodistruttivo.
  2. b) la scuola, che non deve limitarsi a promuovere l’educazione fisica, quando è in grado di farlo, ma che deve agire per favorire anche una corretta educazione alla salute, una puntuale informazione sugli effetti dannosi del doping e di qualsiasi pratica farmacologica o sanitaria adottata senza stretto controllo medico, una consapevole informazione sui principi della corretta alimentazione, in grado anche di sfatare i tanti falsi miti sugli integratori o sui cosiddetti super-cibi, correggendone l’uso smodato e improprio che anche una scorretta pratica mediatica induce. Infine, la scuola può e deve giocare con maggior coraggio un ruolo decisivo nell’educazione alla legalità, nel cui contesto il doping non è che una percentuale, istruendo ai valori etici, educando a cogliere lo strettissimo nesso che lega la legalità all’esercizio dei diritti di libertà, e inducendo a riporre una serena fiducia nelle regole della convivenza civile, nelle norme, ordinarie e sportive, e nei conseguenti sistemi di giustizia, perché nessuna società e nessun ordinamento può reggersi senza un apparato di regole condivise democraticamente e senza un apparato di organi deputati a vigilarne l’applicazione, sanzionarne la violazione e garantirne l’aderenza alle necessità dei cittadini attraverso la corretta dialettica politica e giuridica.
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