sabato, 27 Aprile, 2024
Esteri

Pechino approfitta della crisi afgana per espandere il proprio potere

La nascita dell’Emirato Islamico in Afghanistan ha sconvolto gran parte dell’opinione pubblica internazionale. Gli USA escono dal Paese con un bilancio di circa 2.261 miliardi di dollari spesi per sostenere la missione e quasi 2500 morti. Non solo. L’uscita di scena degli Stati Uniti, ancorché pianificata attraverso gli Accordi di Doha, è stata riconosciuta da molti come un fallimento epocale. Una considerazione discutibile.

È comunque innegabile che l’abbandono del Paese, dopo 20 anni di stabile presenza, rappresenti un importante momento per l’evoluzione delle dinamiche geopolitiche dell’area. Alcuni importanti attori internazionali, infatti, hanno già predisposto i loro piani per sfruttare la partenza degli americani. E’ il caso della Cina che, a lungo termine, dalla situazione afghana potrà trarre almeno due vantaggi. Il primo è riconducibile alla propaganda cinese anti-americana; il secondo è di natura economica e politica.

Il tabloid di Stato cinese Global Times, in un suo recente articolo, ha dichiarato che il ritiro di Washington dall’Afghanistan “dimostra l’inaffidabilità degli USA che abbandonano senza esitazioni gli alleati per seguire i propri interessi”. Probabilmente un messaggio indiretto a Taiwan e alle questioni ad essa riconducibili. Inoltre, lo scorso martedì, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha accusato gli Stati Uniti di lasciare turbolenze e caos ovunque vadano dichiarando che “Il ruolo degli Stati Uniti risiede nella distruzione, non nella costruzione”. Una retorica funzionale al perseguimento dei propri obiettivi in Asia centrale e oltre.

LA DIPLOMAZIA DEL SOFT POWER CINESE
Relativamente al secondo vantaggio, la Cina già da tempo intrattiene positivi rapporti con i Talebani i quali, come sostenuto dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi, rappresentano “un’importante forza militare e politica in Afghanistan e si prevede che svolgano un ruolo importante nel processo di pace, riconciliazione e ricostruzione del Paese”. Di contro il Mullah Baradar, il leader del nuovo Emirato Islamico, ha assicurato Pechino che i talebani afghani “non avrebbero mai permesso a nessuna forza di utilizzare il territorio afghano per compiere atti dannosi per la Cina”. Per Pechino, infatti, il mantenimento dell’ordine, sia nel proprio territorio, che nell’Asia centrale, è fondamentale per portare avanti i propri progetti infrastrutturali collegati alla Belt and Road Initiative.

A tal riguardo è già sulla carta la realizzazione di un’autostrada tra Kabul e Peshawar in Pakistan, che andrebbe ad estendere, anche all’Afghanistan, il corridoio economico Cina-Pakistan fino a raggiungere i porti di Karachi e Gwadar. C’è, inoltre, la questione delle terre rare, ossia metalli particolari e difficilmente reperibili, di cui però l’Afghanistan abbonda, necessari per sviluppare nuove tecnologie in vari campi come quello dell’elettronica, dell’aerospazio e difesa, dei trasporti, delle batterie ricaricabili, della petrolchimica, etc. Pechino ha già avviato dei colloqui con i Talebani per assicurarsi lo sfruttamento di queste preziosissime risorse il cui valore è stimato tra 1 e 3 trilioni di dollari.

Il possesso di questi materiali garantirebbe alla Cina un enorme vantaggio tecnologico rispetto agli Stati Uniti che, unito alla proiezione commerciale verso ovest grazie alla BRI, rafforzerebbe la sua espansione geopolitica anche a danno dell’Occidente.

Pechino porta avanti i propri piani a colpi di diplomazia e operazioni di influenza in tutto il mondo. A queste condizioni, i Paesi occidentali, Stati Uniti in primis, non possono permettersi di agire in modo disordinato e senza una chiara strategia. In ballo non ci sono solo interessi economici ma anche il confronto tra sistemi democratici e sistemi autocratici.

 

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