sakè s. m. [dal giapp. sake, per tramite del fr. saké]. – Bevanda nazionale del Giappone, che si
consuma generalmente calda: è simile alla birra, ma incolore e più alcolica (fino a 12°), fabbricata,
almeno in origine, con mosti di riso fermentati con uno speciale enzima. [Definizione Treccani]
Si parla poco, pochissimo di sakè in Italia e lo si conosce anche meno.
Chi lo chiama vino di riso, quando in realtà è una bevanda fermentata quindi avrebbe più senso
assimilarla ad una birra. Chi ritiene che sia altamente alcolico e magari lo confonde con il cinese
Moutai. Chi non sa che ci sono varie temperature al quale bere un sakè e di solito vanno abbinate
al piatto che abbiamo davanti.
Sull’argomento c’è tanta confusione e nebbia, relegata quella ciotolina che viene versata al lato
del piatto al ristorante giapponese, di un liquido poco saporito, leggermente alcolico che
accompagna il nostro piatto di sushi.
Cerchiamo di chiarire che il sakè è un mondo ampissimo e affasciante, fatto di serissime
classificazioni che ne definiscono il pregio e fatto anche di interessantissime versioni più
“moderne” che lo rendono una bevanda altamente versatile e persino ricchissima di possibilità di
abbinamento nella nostra cucina, non solo italiana ma anche più prettamente regionale, parola di
sakè sommelier.
Andiamo per gradi, 5 cose da sapere sul sakè:
- La produzione del sakè avviene grazie ad un fungo che si chiama aspergillus oryzae lui
contribuisce al processo di saccarificazione del riso. Questo fungo viene chiamato koji ed è alla
base importanti preparazioni asiatiche quali la salsa di soia e anche il miso. - La finezza del sakè si misura in base al grado di levigatura (sbramatura) del chicco di riso
utilizzato. In pratica più il riso è levigato più il sakè sarà di pregio con profumi eleganti e maggiore
complessità. Il sakè “da tavola” quello che usa il 100% del chicco di riso è il futsu- shu, il più fine
che leviga almeno al 50% ma va anche oltre, è il Junmai Daiginjo. Se poi, c’è aggiunta di alcool
alla fine di chiama Daiginjo (levigatura al 60%) o Ginjo (levigatura al 50%). - Caratteristica molto interessante dell’abbinabilità del sakè sta nel fatto che si può
giocare con le temperature di servizio. Aumentando la temperatura, almeno fino a certe
soglie, il sakè diventa più espressivo e profumato, quindi quando un sakè non regge la
complessità di un piatto, a volte basta scaldarlo un po’ per trovare il giusto supporto.
I sakè più fini e pregiati però, al pari dei vini, si prediligono consumati freddi. - Gli sparkling sakè, ebbene si! Esistono sakè realizzati come degli champagne, costosi,
e ovviamente non paragonabili a certe realtà francesi, ma esiste una scuola di sakè
spumantizzato che trova divertenti possibilità di accompagnamento anche con i salumi
nostrani. - Un vero appassionato non può non trovare di gran fascino tutto il mondo dei sakè
invecchiati, detti koshu. Cosa succede al sakè con l’invecchiamento? Assume una
consistenza più cremosa, un colore più giallo, una complessità e un gusto più umami.
Il minimo invecchiamento è tre anni e si utilizzano sia affinamenti in legno che in grotta,
ma anche in acciaio o più semplicemente in bottiglia.
Con l’augurio di bere più sake e soprattutto più “buon sakè”, KAMPAI!