Tutti amano giocare di rimessa: aspettano l’azione del governo per criticarla ma non si prendono la responsabilità di fare la prima mossa e di costringere chi ha il potere di decidere a misurarsi con proposte precise che non nascono nelle polverose stanze ministeriali ma emergono dal tessuto pulsante della società e del mondo produttivo.
Facile autoassolversi dicendo che è tutta colpa di Conte e della sua squadra. Più difficile è mettere la propria faccia su proposte concrete e su quelle chiamare il governo a misurarsi e a decidere.
I governi populisti sono una iattura per la democrazia. Si fanno scudo di una retorica ipocrita che si riempie la bocca della parola “popolo” per vivere in una perenne atmosfera di approvazione di quel che fanno e che quasi mai va, realmente, a vantaggio delle parti più svantaggiate della società. Il populismo governante non è mai stato un’esplosione di partecipazione democratica autonoma e non eterodiretta, non si è mai tradotto in un vero controllo critico dell’operato dell’esecutivo ma si è sempre risolto nella legittimazione di una élite di potere che si fa scudo del “popolo” per giustificare le proprie scellerate decisioni.
Ma c’è un altro populismo che non riguarda chi sta al governo. E non è meno pernicioso. Esso si insinua tra opinion leader e rappresentanti di potentati economici, trova eco nelle forze di opposizione e fa di tutto per apparire come un vero contro-potere che contrappone il popolo e la cosiddetta “società civile al governo legittimo in una rappresentazione manichea della vita pubblica, dove tutto il male sta nel governo e tutto il bene sta nel popolo e nella società cosiddetta civile.
Questo populismo auto-assolutorio si basa su una condanna generica, inappellabile e spesso priva di argomenti nei confronti di tutto ciò che fanno i governanti. L’adagio “piove, governo ladro” ne è l’iconica ed esasperata sintesi.
Criticare chi comanda non solo è un sacrosanto diritto ma è anche un dovere civico: nessun governo deve essere autorizzato a considerarsi perfetto, sarebbe una sciagura!! Chi sta nella stanza dei bottoni dovrebbe dare ascolto alle critiche e trarre da esse stimoli per migliorare il proprio operato, senza trincerarsi in una torre d’avorio e in una narcisistica adorazione di se stesso.
Ma c’è un rischio. La critica al governo può trasformarsi in un alibi che consente ai fustigatori del potere di autoassolversi dai propri errori: scaricando ogni responsabilità su chi ha il potere ci si sottrae al dovere faticoso di avanzare proposte plausibili e di confrontarsi con i problemi reali e non con gli slogan.
Un esempio di questo populismo assolutorio lo stiamo vedendo in queste settimane. Il tema è cosa fare dei 209 miliardi che devono servire a sanare le ferite del Covid e a riscrivere il modello di sviluppo e di organizzazione sociale per i prossimi anni.
Il governo è in ritardo nella presentazione di progetti. È un errore. Si sono persi mesi preziosi, da luglio a novembre, che dovevano essere utilizzati per mettere nero su bianco progetti concreti. Ma in questi 5 mesi, in cui i progetti elaborati nel chiuso dei ministeri sono stati prima 600 poi ridotti a 50, non abbiamo letto sui giornali, negli interventi di acuti osservatori, nelle interviste a rappresentanti di categorie produttive nessuna proposta concreta da contrapporre a quella genericità che viene rimproverata al governo. Il grande dibattito pubblico che avrebbe dovuto autonomamente svilupparsi non c’è stato. Eppure l’occasione era unica e anche ghiotta.
Chi ha impedito alle “forze sociali” alla “società civile” di spremersi le meningi e tirar fuori proposte concrete? Chi ha messo la mordacchia alla grande stampa, alle televisioni e ai think thank impedendo loro di “sfidare” il governo sul terreno della concretezza?
Tutti amano giocare di rimessa: aspettano l’azione del governo per criticarla ma non si prendono la responsabilità di fare la prima mossa e di costringere chi ha il potere di decidere a misurarsi con proposte precise che non nascono nelle polverose stanze ministeriali ma emergono dal tessuto pulsante della società e del mondo produttivo. Questa mania di non esporsi ma di aspettare che il governo dica la sua per limitarsi a criticarlo è un malcostume populistico che non aiuta il Paese a funzionare meglio.
Sulle colone della Discussione abbiamo fin da giugno proposto, invano, a Palazzo Chigi un metodo di lavoro: coinvolgere il mondo degli interessi diffusi e organizzati nella scrittura dei progetti per la ripresa ed aprire su questi temi un confronto con tutte le energie migliori della nostra società. Il Governo ha sbagliato a non farlo. Ma gli altri se ne sono stati comodamente con le mani in mano, senza impegnarsi a tirar fuori idee.
Facile autoassolversi dicendo che è tutta colpa di Conte e della sua squadra. Più difficile è mettere la propria faccia su proposte concrete e su quelle chiamare il governo a misurarsi e a decidere.