Una via di mezzo. È così che può essere definito l’accordo siglato tra Stati Uniti e Unione europea, un’intesa tanto annunciata quanto discussa (eufemismo ascoltando le reazioni delle opposizioni di governo del nostro Paese). Il palcoscenico scelto non è stato casuale: il Golf Club di Turnberry, in Scozia, proprietà personale di Donald Trump, ha ospitato il faccia a faccia tra il numero uno americano e la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
L’intesa raggiunta prevede l’introduzione di una tariffa fissa del 15% su una vasta gamma di beni europei esportati negli Stati Uniti, in particolare nel settore automobilistico, che secondo Trump “rinascerà grazie a questo accordo”. Restano invece invariate le tariffe al 50% su acciaio e alluminio, così come restano temporaneamente esclusi i settori della farmaceutica e dei semiconduttori, sui quali si attendono tariffe specifiche da definire entro due settimane, secondo quanto anticipato dal segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick.
Trump: “Accordo imponente”
Trump non ha risparmiato toni trionfalistici, come nel suo personalissimo stile: “È un accordo soddisfacente, imponente, il più grande in assoluto, mai raggiunto. Siamo onorati del risultato. Abbiamo iniziato a negoziare mesi fa, sapevamo già cosa dovevamo fare. Questo patto darà stabilità e forza alle nostre economie. È una vittoria per tutti”. Il Tycoon ha sottolineato con forza che “stiamo concordando una tariffa uniforme per le automobili e tutto il resto al 15%”, e ha confermato che le tariffe su acciaio e alluminio “rimarranno dove sono”.
Quanto alla farmaceutica, Trump ha chiarito: “È un settore molto importante per gli Stati Uniti e non possiamo trovarci in una posizione dipendente da altri Paesi”. Ma non è tutto: nell’accordo è stato incluso anche l’impegno dell’Unione Europea ad acquistare energia statunitense per un valore complessivo di 750 miliardi di dollari, oltre a investire ulteriori 600 miliardi direttamente negli Stati Uniti, in settori strategici come infrastrutture, energia e digitale. “È un buon affare anche per loro, lo vedranno presto”, ha tagliato corto Trump, evidenziando la convenienza per entrambe le economie.
Von der Leyen: “Garantita chiarezza”
Ursula von der Leyen ha scelto invece un profilo più sobrio, pur difendendo l’accordo. “Con gli Stati Uniti sono stati negoziati duri, ma abbiamo raggiunto un buon accordo che porterà stabilità e prevedibilità tra le due sponde dell’Atlantico”. Poi ha aggiunto: “Si tratta di un’intesa tra le due maggiori economie del mondo. Commerciamo ogni anno per oltre 1.700 miliardi di euro, rappresentiamo un mercato di 800 milioni di persone e quasi il 44% del Pil globale. Dovevamo dare un segnale di certezza”.
Il cuore dell’accordo, secondo la presidente della Commissione, è la chiarezza normativa: “Ci siamo stabilizzati su un’unica aliquota tariffaria del 15% per la stragrande maggioranza delle esportazioni dell’Ue. Questo 15% rappresenta un limite massimo, tutto compreso. Niente cumuli, niente sorprese. È assolutamente cruciale per cittadini e imprese”. Sulla questione automobilistica, ha ricordato che “oggi i veicoli europei sono soggetti a un 27,5% di dazi, 25% più un 2,5% tecnico. Ora siamo scesi al 15%. Certo, non è l’ottimale, ma almeno l’incertezza è finita”.
Italia prudente
A Roma le prime reazioni ufficiali sono state all’insegna della prudenza. “Valuto positivamente che ci sia un accordo”, ha detto Giorgia Meloni direttamente dall’Etiopia, “ma senza conoscere i dettagli non posso dare un giudizio definitivo”. Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato di “una fase di incertezza chiusa”, aggiungendo che “ora valuteremo i contenuti”.
Più ottimista Maurizio Lupi (Noi Moderati): “Meglio un compromesso come questo che una guerra commerciale che avrebbe danneggiato tutti. Ora capiamo meglio i dettagli”. A Bruxelles invece il Presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha elogiato il lavoro della Commissione: “Determinazione e unità hanno aperto la strada a un accordo negoziato che dà priorità alla cooperazione e offre alle aziende la certezza di cui hanno bisogno”.
“Capitolazione, altro che accordo”
Se dalle istituzioni sono arrivati toni moderati, le opposizioni si sono scagliate contro l’intesa. “Non è un accordo, è una capitolazione”, ha tuonato Carlo Calenda. “Tariffe a zero da parte Usa? No. Tariffe al 15% da parte nostra? Sì. E in cambio abbiamo promesso acquisti per 750 miliardi e investimenti per altri 600. Von der Leyen ha fatto la figura della scolaretta, va rimossa subito”. Sulla stessa linea Daniela Ruffino (Azione): “Abbiamo dato a Trump più di quanto chiedeva e ottenuto meno di quanto temevamo.
È un accordo indecoroso e umiliante”. Dura anche la posizione di Nicola Fratoianni (Sinistra italiana): “Trump e von der Leyen festeggiano un accordo che invece è l’ennesima conferma che Trump ha aperto una guerra economica e commerciale pesante, dagli esiti imprevedibili. L’Italia e l’Europa non dovevano comprare armi e gas dagli americani, né permettere regimi fiscali di favore per le multinazionali Usa. E invece è proprio quello che stanno facendo. Così ci portano alla guerra, al disastro sociale e ambientale. Dobbiamo costruire un’alternativa, subito”.
I parlamentari M5S delle Commissioni Bilancio e Finanze hanno parlato apertamente di disfatta: “Doveva essere zero a zero sui dazi, invece Ursula e la ‘pontiera’ Meloni rimediano una disfatta bella e buona. Ai dazi del 15% si somma la svalutazione del dollaro, ormai al 13% da inizio anno, che penalizza ulteriormente le esportazioni. L’Italia ha già concesso tutto a Trump: spese militari al 5% del Pil, esenzioni fiscali alle Big Tech, acquisti record di armi e Gnl. Ora parte la conta dei danni: Confindustria stima 23 miliardi in meno di export e 100 mila posti di lavoro a rischio”.
Anche dal Partito Democratico non sono mancate le critiche. Per Nicola Zingaretti “non è un’intesa, ma una resa. Dopo il cedimento sulla Global Minimum Tax, ora tocca ai dazi. E sempre a vantaggio degli Usa”. Dario Nardella ha parlato di “sudditanza” e ha accusato Meloni di “raccontare favole alle imprese mentre accetta tariffe che costeranno miliardi all’export italiano”. Enzo Amendola, infine, ha sintetizzato il tutto così: “5% del Pil per la Nato, 15% di dazi, zero tasse per le Big Tech americane, miliardi per armi e gas. La più disastrosa partita a golf della storia europea”.
I primi settori sotto tiro
Tra i settori più colpiti si segnalano il vino e il legno-arredo. “Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano”, ha detto Lamberto Frescobaldi, Presidente di Unione italiana vini. “Stimiamo un danno da 317 milioni nei prossimi 12 mesi, che potrebbero salire a 460 milioni con l’attuale svalutazione del dollaro. Serve una risposta immediata da parte del governo”.
Claudio Feltrin, Presidente di FederlegnoArredo, è stato altrettanto netto: “Da soli abbiamo impiegato 50 anni per costruire il mercato americano. Non possiamo rifarlo da zero. Il settore vale oltre il 4% del fatturato manifatturiero italiano. Sbloccare l’accordo con il Mercosur può aprire mercati alternativi, ma servono sostegni rapidi e concreti”. Anche le associazioni di categoria hanno espresso forte preoccupazione.
Per la Cna, “i dazi al 15% sono una tassa ingiusta e sproporzionata che colpirà le piccole imprese. Si scrive 15, ma si legge 30%”. Il Presidente Dario Costantini ha chiesto la riattivazione urgente del tavolo sull’export a Palazzo Chigi. Cristian Maretti, Presidente di Legacoop Agroalimentare, ha infine detto: “Non possiamo trattare i dazi come un fatto contabile. Le conseguenze saranno pesanti anche per i consumatori americani. Serve una strategia di sostegno immediato ai settori colpiti”.