sabato, 23 Novembre, 2024
Sanità

Macroregioni, Partnership Pubblico-Privati e Sperimentazioni gestionali, per il risanamento della Sanità pubblica

Il problema della spesa sanitaria è senza dubbio uno dei principali nodi che il Governo nazionale dovrà apprestarsi a sciogliere nel più breve tempo possibile. I deficit accumulati dalle regioni, titolari del servizio hanno ormai raggiunto il massimo livello di sopportabilità ed i diversi tentativi di risanamento proposti in Italia in questi ultimi anni, non sono purtroppo riusciti a raggiungere risultati che possano considerarsi in qualche modo positivi (liste di attesa insopportabili)..

Faremo qui, dopo aver analizzato e tentato di proporre rimedi efficaci per una soluzione del problema, anche un breve excursus sulle riforme di due altri sistemi sanitari: quello inglese e quello statunitense.

Il tentativo italiano di assegnare la gestione della sanità ad ogni singola Regione, salvo il rispetto di un generale piano sanitario nazionale, è stato un tentativo che sembra definitivamente fallito. Quello che sembrava essere un sano principio di sussidiarietà oltre che di adeguamento al titolo quinto della Costituzione, si è rivelato, nel tempo, un moltiplicarsi e diversificarsi di costi e inefficienze.

In ogni Regione vi sono Azienda Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere; le prime nate per soddisfare il bisogno di salute della popolazione residente sul proprio territorio, e che riceve le risorse finanziarie con il criterio della quota capitaria (per ogni cittadino viene assegnato un budget di spesa), le seconde (Aziende Ospedaliere) che agiscono come imprese sociali di produzione di servizi sanitari, che oltre a vedersi assegnato un budget (essenziale) annuo, vendono alle ASL i propri servizi. Ogni ASL provvede quasi del tutto autonomamente ad acquistare i servizi ed i prodotti sanitari necessari per soddisfare la propria popolazione, sia dalle aziende ospedaliere che dai privati accreditati.  Talvolta le ASL sono titolari di presidi ospedalieri territoriali e con questi (spesso confusi con le Aziende Ospedaliere), producono autonomamente i servizi da erogare.

Abbiamo sentito molto spesso che ogni ASL spende una cifra differente anche per acquistare lo stesso prodotto (siringhe, garze, ecc..). Poiché non è fissato un tetto annuo massimo di spesa, l’Azienda Sanitaria fin quando ci sono servizi e prodotti da comprare, li compra, e solo a fine anno rileva lo sforamento dal bilancio di previsione (spesso centinaia e centinaia di migliaia di euro). L’indebitamento resta in capo alla ASL ma incide anche sul bilancio regionale (la spesa sanitaria assorbe circa l’ottanta per cento di tutto il bilancio della regione). Talvolta si è tentato di fare cartolarizzazioni e talaltra di costituire società regionali di sanità per la sistemazione dell’indebitamento, tuttavia, dopo qualche anno (spesso di commissariamento) ci si ritrova con nuovo indebitamento.

Una delle soluzioni che proponiamo da queste colonne, è quella che passa per l’accorpamento di più regioni (Macroregioni Sanitarie), facendo in modo che gli acquisti più rilevanti vengano gestiti da un’unica centrale di committenza, e, l’offerta delle aziende ospedaliere fosse dimensionata al territorio nel quale insiste (anche se gli ospedali sono ora a livello nazionale). La discrasia che si deve rilevare, nel modello attuale, sta nel fatto che le Aziende Sanitarie tendono (dovrebbero tendere facendo prevenzione) a spendere il meno possibile e le Aziende Ospedaliere ad incassare il più possibile (per offrire servizi sempre migliori e fare ricerca). Con le Macro Regioni le ASL potrebbero risparmiare sugli acquisti centralizzati e le A.O. potrebbero vedersi garantito il livello di acquisti necessario, proveniente dalla richiesta locale. Eventuali esuberi di richieste di prestazioni sanitarie o di produzione di servizi si risolverebbero con la nota mobilità attiva e passiva (questa volta però tra macroregioni e non tra singole regioni).

La regione Molise, emblematica per il protrarsi di un commissariamento ultradecennale, ha recepito  il valore della Partnership Pubblico-Pubblico, ed ha avviato accordi con la vicina regione Abruzzo. Da questi accordi certamente si trarranno benefici. Una buona pratica che può e deve essere ripetuta e valorizzata, ma a livello nazionale e tra più Regioni.

Poiché le ASL si approvvigionano molto anche dal privato convenzionato, è diventato indispensabile attivare delle Partnership Pubblico-Privati che possano garantire reciprocamente impegni e vantaggi; solo una sana partnership può consentire al privato accreditato di poter improntare bilanci di previsione corretti e poter offrire al minor prezzo le prestazioni che gli vengono richieste.

Infine, per completare la nostra proposta, esiste ormai da anni uno strumento di sperimentazione gestionale a disposizione sia delle Aziende Sanitarie che delle Aziende Ospedaliere, che però viene poco usato: è la Sperimentazione e Innovazione Gestionale in ambito sanitario, attraverso la quale possono essere costituite società di tipo commerciale o fondazioni, con le quali sperimentare gestioni più efficienti, efficaci, economicamente più vantaggiose e appropriate.

L’esperienza inglese dalla Thatcher a Blair

La riforma Thatcher si basava sostanzialmente sulla distinzione fra compratori e fornitori dei servizi, dove i secondi competevano per ottenere i contratti predisposti dai primi. Gli acquirenti più importanti erano le DHA /District Health Authorities, equivalenti alle nostre ASL) e ricevevano direttamente dal Tesoro un finanziamento basato sulla formula capitaria, e i secondi acquirenti di servizi sanitari erano i medici di famiglia o GP (General Practitioners) con almeno undicimila pazienti. Questi potevano acquistare per conto dei pazienti solo alcuni trattamenti (visite specialistiche, esami di laboratorio e medicinali). Gli ospedali e gli altri produttori di servizi sanitari potevano optare per diventare trusts indipendenti. A livello teorico la riforma avrebbe dovuto portare a:

1.una divisione molto chiara fra acquirenti e fornitori

2.una pluralità sia di acquirenti che fornitori

3.informazioni adeguate e facilmente disponibili per fare scelte adeguate

4.libertà di mercato.

Tuttavia perché un mercato funzioni dovrebbero esserci molti fornitori e una varietà di acquirenti. Se si esclude il fondo dei GP, nessuna delle due caratteristiche è stata realizzata nel SSN riformato dalla Thatcher: i Distretti servivano l’intera popolazione e erano acquirenti monopolisti per conto della stessa. La maggior parte di essi cercò di rendersi autosufficiente, creando un ospedale generale come fornitore dominante.

Altra consistente critica evidenziava che, per quanto riguardava il fondo del GP, esso era un possibile incentivatore alla politica del cream skimming, cioè della scrematura dei pazienti più gravi o multi-problema per evitare di sfondare il budget assegnato. Alan Maynard ebbe ad affermare che se la riforma dei conservatori non funzionò, o funzionò solo in misura limitata, la responsabilità non era da attribuire al fatto che si basava sull’idea di mercato o di competizione, ma, al contrario, al fatto di non aver avuto il coraggio di portare fino in fondo questa scelta che si è di fatto trasformata in uno slogan ideologico.

Il modello del quasi mercato non serve se l’obiettivo è la riduzione dei costi, serve se l’obiettivo è mantenere il consenso della gente perché aumenta il livello di soddisfazione attraverso l’incremento del potere di scelta.

Glenner e Le Grand si chiesero non se il sistema dei mercati interni (quasi-mercati) fosse o meno un sistema migliore di quello della pianificazione centralizzata dello stato per fornire i servizi d welfare, ma perché il governo conservatore inglese avesse deciso di adottarlo. Gli autori ritennero, infatti, che per poter dire se quella riforma fosse stata efficiente ed efficace bisognasse capire chiaramente quale fosse stato il suo reale obiettivo.

La sinistra inglese si oppose al quasi-mercato giudicandolo un deliberato tentativo di indebolire il welfare state, di introdurre valori commerciali e preparare la sua eventuale privatizzazione. In questa prospettiva, la privatizzazione degli enti erogatori dei servizi avrebbe favorito la graduale uscita dello Stato dal finanziamento di una grande parte dei servizi, e ad un ritorno al modello residuale (copertura solo per i molto poveri, molto vecchi, molto malati).

Secondo Rudolph Klein, la riforma sarebbe un esempio classico di policy learning, cioè dell’applicazione ad un settore diverso di una politica che ha dimostrato di funzionare in altri settori, ad esempio quello dei rifiuti, senza preoccuparsi se fra i due ci siano o meno delle analogie.

Secondo, infine, Saltman e von Otter il governo inglese, come quello scandinavo, si sono trovati di fronte ad un incremento delle aspettative e contemporaneamente ad un rifiuto a pagare più tasse. L’unica strada possibile per far quadrare i conti era di far fruttare di più i soldi che gli elettori erano disposti a pagare. Nei primi anni ottanta il governo Thatcher tentò di ottenere questo risultato migliorando l’efficienza del management (la nostra attuale triade: Direttore Generale-Direttore Amministrativo-Direttore Sanitario). Non essendoci riuscito, ha scelto la competizione per spremere di più dai servizi introducendo la scelta e la responsabilità.

Il vero obiettivo della riforma che ha introdotto il concetto di quasi-mercato in sanità sarebbe stato quello di garantire il sostegno politico da parte del ceto medio al SSN.

La logica su cui è impostata la riforma Blair è quella di una “terza via” (chiamata anche cura integrata) fra il vecchio modello centralistico e il modello del quasi-mercato. La terza via è basata sulla partnership, che sostituisce il principio della competizione, e guidata dalla performance. La riforma dei laburisti ha inteso, tuttavia, salvaguardare:

1.la separazione fra la pianificazione della cura ospedaliera e la sua fornitura;

2.i fondi assegnati ai medici di famiglia GP

3.il decentramento della responsabilità operativa

Ha inteso, invece, abolire:

4.l’inefficienza

5.la burocratizzazione

6.l’instabilità

7.la segretezza (le decisioni degli ospedali avvenivano senza coinvolgere la comunità locale).

Non è possibile dare una valutazione attendibile sugli effetti della riforma Blair, cioè se il nuovo modello che sostituisce la partnership alla competizione possa conseguire gli obiettivi comuni a tutti i governi impegnati nella riforma dei servizi sanitari, cioè la riduzione dei costi e il miglioramento della qualità delle prestazioni. La riforma sembra configurarsi come un ulteriore momento di quelli shifting involvements, cioè di quelle oscillazioni di orientamento fra i due poli del modello di cittadinanza “lib-lab“, senza riuscire ad andare oltre le caratteristiche e i limiti del modello stesso.

La riforma Thatcher aveva fatto oscillare il pendolo verso il mercato, introducendo la separazione tra acquirenti e fornitori e la competizione fra fornitori come meccanismo di regolazione dei costi e di miglioramento della qualità; la riforma Blair fa tornare il pendolo sullo Stato, riducendo in modo drastico il numero dei soggetti autorizzati ad acquistare le prestazioni e coinvolgendo acquirenti e fornitori in ambiti comuni di programmazione.

Il governo laburista giustifica la nuova oscillazione in base alla constatazione che il modello del quasi-mercato ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi e si è tradotto in un aumento molto consistente della burocratizzazione del sistema.

L’ottica del “lib-lab” della riforma Blair, afferma una nuova cultura della salute che si va consolidando in questi anni, e si caratterizza con un pluralismo terapeutico e da una nuova ricerca di autonomia e relazionalità da parte dei cittadini. I criteri della cittadinanza “lib-lab” avrebbero dovuto essere integrati:

1.da un principio di diversificazione e complessità

2.da un principio di libertà-autonomia dei soggetti

3.da un principio, complementare al precedente, di reciprocità comunicativa e relazionale fra servizi e cittadini.

Il rischio è che la riforma invece di realizzare un effettivo cambiamento, accentui la tendenza “autoreferenziale” del sistema sanitario.

L’esperienza negli USA

Il principale concetto di riforma negli USA è rappresentato dal management Care. Esso è utilizzato per risolvere ed affrontare i seguenti cardini:

1.adeguatezza delle cure sanitarie e dell’equità d’accesso per tutti i cittadini

2.efficienza microeconomica del sistema: i servizi erogati devono garantire risultati positivi e la soddisfazione del cittadino, minimizzando i costi

3.libertà di scelta dei cittadini: essi devono poter decidere a quale tipologie di servizio accedere

4.efficienza macroeconomica del sistema: il costo complessivo non deve eccedere una quota accettabile di risorse nazionali e non deve incidere in maniera iniqua sulle risorse dei cittadini.

Un sistema sanitario costoso va ad incidere sulla competitività economica dell’intero Paese.

Altre problematiche inerenti il cittadino “cliente”:

1.accesso a un sistema sanitario adeguato ed equo per tutti

2.integrazione dei servizi

3.libertà effettiva di scelta tra i fornitori di servizi e le forme di pagamento

4.sostenibilità ed equità economica dei servizi.

Negli USA è pure diffuso il cosiddetto modello “Singapore”. Questo modello evidenzia la responsabilità individuale del cittadino, in quanto lo stesso riceve un pacchetto di servizi e di cure sanitarie in relazione al suo stile di vita più o meno rischioso (i gradi fumatori ad esempio, in caso di infarto, non riceveranno servizi e cure sanitarie completamente gratuite).

Il sistema di copertura della spesa sanitaria è basato sulle fasce di reddito:

1.interamente privato e con prestazioni a pagamento –fasce ricche

2.di tipo mutualistico (modello Health Maintenance Organization) –fasce medie

3.interamente finanziato dallo Stato –fasce povere.

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