Nel mondo 55 milioni di persone convivono con una demenza tanto da farla dichiarare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Alzheimer Disease International una priorità mondiale di salute pubblica. Secondo il Global Action Plan 2017-2025 dell’OMS i casi arriveranno a 75 milioni entro il 2030 e a 132 milioni entro il 2050, con circa 10 milioni di nuovi casi all’anno, 1 ogni 3 secondi. Oltre al gravissimo disagio dei pazienti e delle loro famiglie, vanno aggiunti gli elevati costi sociali stimati in oltre 1 trilione di dollari all’anno, con un incremento progressivo e una continua sfida per i servizi sanitari. In Italia attualmente il numero totale dei pazienti con demenza si aggira sul milione di persone, di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer. Circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con ingenti ricadute anche sul piano economico e organizzativo. L’Alzheimer rappresenta il 50% – 70% dei casi di demenza nel mondo.
La scienza è al lavoro per cercare di porvi rimedio, ma per ora le sperimentazioni si sono fermate alle cavie da laboratorio. I ricercatori dell’Università di Medicina della Juntendo a Tokyo in Giappone, hanno sviluppato un vaccino per eliminare le cellule senescenti che esprimono la glicoproteina associata alla senescenza (SAGP), un vaccino senolitico che ha migliorato diverse patologie legate all’invecchiamento, tra cui l’aterosclerosi e il diabete di tipo 2 nei topi. Un altro studio ha anche rilevato che le SAGP sono altamente espresse nelle cellule gliali delle persone affette da Alzheimer. Sulla base di questi risultati, i ricercatori hanno testato questo vaccino nei topi per colpire le cellule che sovra-esprimono SAGP e trattare la malattia di Alzheimer. Al prossimo congresso dell’American Heart Association 2023 di Boston, che avrà luogo dal 31 luglio al 3 agosto, verrà presentato, un nuovo vaccino che mira alle cellule infiammate del cervello associate alla malattia di Alzheimer che potrebbe rappresentare la chiave per prevenire o modificare il corso della patologia, secondo la ricerca del dottor Chieh-Lun Hsiao, borsista post-dottorato del dipartimento di biologia e medicina cardiovascolare dell’Università di Medicina della Juntendo a Tokyo. Ma purtroppo siamo sempre nel campo delle ipotesi.
Una grossa mano potrebbe, invece, arrivare dall’intelligenza artificiale. L’ITAB, Institute for Advanced Biomedical Technologies dell’Università di Chieti, in collaborazione con Asc27, una start up romana specializzata in questa tecnologia, ha sviluppato uno studio ispirato al lavoro svolto utilizzando l’Intelligenza Artificiale per la previsione dello sviluppo del morbo di Alzheimer, con un grado di precisione superiore al 90%. Nel paper sono illustrate le tecniche e le reti utilizzate per predirre lo sviluppo di questa terribile patologia degenerativa. I risultati della ricerca hanno conquistato un posto nella TOP 50 Mondiale alla WAIC – World Artificial Intelligence Conference – di Shanghai 2023 per questa soluzione Healthcare di predizione della malattia attraverso un approccio olistico basato sul Machine Learning. Un riconoscimento importante per l’Italia, come fa notare il Ceo di Asc27, Nicola Grandis, ma che soprattutto può dare una speranza concreta all’umanità. Riuscire a diagnosticare precocemente la mattia può significare, infatti, moltissimo.