venerdì, 22 Novembre, 2024
Il Cittadino

Boschi di braccia tese

Oggi raggiungo il massimo dell’ineleganza, cominciando il mio articoletto settimanale con un’auto citazione.

Domenica 21 agosto scorso, in piena campagna elettorale, in questa stessa rubrica, nell’articolo “La (non) politica che non appassiona” annotavo:  «… in tutto ciò è un conformismo che spaventa, in una cultura che definisce aprioristicamente quasi tutto, ponendo in una posizione di disadattamento chi non si adegua. Non c’è un modello di Stato da discutere, non c’è un’idea di società diversa. Solo impercettibili differenze di posizionamento in relazione ai medesimi temi: il Cnrr, i benefici dalla UE, le tasse. Il soporifero messaggio che sta passando è che, comunque ed in ogni caso, dovrà essere un governo rassicurante per i partner europei e tranquillizzante per i “mercati”, autentici dittatori senza volto della nostra epoca. Così che persino la Meloni – accreditata di un successo elettorale importante –giorno dopo giorno, sta sempre di più acquisendo le qualità richieste».

Previsione vera. Alla prova dei fatti il Governo Meloni sta seguendo il brogliaccio già interpretato da Draghi, presentandosi in maniera autorevolmente rassicurante ai partners internazionali: senza complessi (il che per noi italiani è una positiva novità assoluta) e mostrando di conoscere i limiti entro i quali contenersi.

Lo scenario che mi ero allora immaginato, però, non si spingeva fino a ipotizzare la mancanza di argomenti da parte dei partiti di opposizione: un mio oggettivo limite, perché affermando il conformismo culturale-politico, avrei dovuto anche supporre che Governo e opposizione si sarebbero scontrati non su problemi di fondo e di indirizzo, ma su temi sporadici, da entrambe le parti sostenuti come affermazione di bandiera, astratte petizioni di principio.

Così è avvenuto: il Governo ha manifestato il suo essere di destra con spot sulla sicurezza (il rave party) o facendo finta di assecondare il “gettiamo la chiave” salviniano (ma ha il Guardasigilli più garantista che si potesse sperare) o coi provvedimenti anti navi ONG (ma stiamo accogliendo come non mai, umanamente e senza polemica, gente che fugge dalla miseria e dalla morte).

Da parte sua l’opposizione – al netto della protesta dei M5S per l’abolizione del reddito di cittadinanza (ma annoto che FdI, il partito di maggioranza relativa, nella coalizione del centro-destra sia quello più sensibile alle politiche sociali) – sta vivendo di slogan e di ricerca di qualsiasi accadimento che gli consenta di urlare al pericolo fascista: sia esso il busto di Mussolini del padre del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, o addirittura l’incarico di consulenza conferito all’86enne Mogol (al secolo Giulio Rapetti), il mitico paroliere del miglior Battisti.

Che c’entra Mogol col fascismo, mi sono chiesto da giovane vecchio che ricorda a memoria quasi tutti i testi delle canzoni di quell’epoca memorabile (anni ’60-’70): non solo quelle di Battisti o di Ornella Vanoni, Dalla, Paoli, Celentano, ma anche Gaber, De Andrè, Guccini (Auschwitz, Dio è morto: mio padre mi ruppe il 45 giri) e tanti altri.

Ho dovuto cercare con attenzione nella cronaca per capire che la polemica (molto sterile, per la verità) si basava su un singolo verso di quel capolavoro che è la Collina dei ciliegi (1973).

Una canzone che è un inno alla libertà, una incitazione a non tenere conto dei pregiudizi, del perbenismo ancora imperante (mi sono sposato nel 1980 ed il certificato di matrimonio doveva essere esibito alla reception per ottenere una camera matrimoniale con mia moglie), di volare più alto dei pregiudizi. Una incitazione a lottare per affrontare resistenze e superare “scogli e paure”: per acquisire una piena e ambiziosa consapevolezza, volando sempre più in alto «sulla collina / e fra i ciliegi veder la mattina», ed il sole che proprio la collina celava. E poi «ancora e ancor più su» – questo che segue il verso incriminato – «planando sopra boschi di braccia tese».

Laddove in quei “boschi di braccia tese” da qualcuno a corto di argomenti si è voluto vedere una folla fascista esaltata dal saluto romano.

Un non argomento innanzitutto perché non è vero: al di là della smentita dello stesso Mogol, basta guardare la copertina piena di braccia aperte che si elevano verso il cielo de “Il mio canto libero”, il 45 giri del duo Mogol-Battisti immediatamente precedente “La collina dei Ciliegi”, per rendersene conto. Ma anche perché incolto e meramente pretestuoso.

Un po’ come l’eccessiva montatura di una rissa tra liceali fiorentini, da non sottovalutare, ma francamente non inquadrabile come una organizzata spedizione fascista. Montatura alimentata maldestramente dal Ministro dell’Istruzione, Valditara: un “compagno” infiltrato, secondo Massimo Gramellini (“Il caffè” del 24 febbraio sul Corriere della Sera), molto apprezzato dai «suoi sodali dell’opposizione [che] non chiedevano di meglio per poter rilanciare l’allarme fascista».

Infiltrato, chiosa ironicamente Gramellini, anche il Ministro della cultura Sangiuliano proprio per l’incarico conferito a Mogol, con l’avvertimento alla Presidente Meloni di guardarsi più dagli amici che dai nemici (e qui – lo si è visto – dissento per il contrasto coi miei ricordi giovanili).

Consentitemi, invece, un mio finale di personale simpatia verso la Preside Annalisa Savino, che ha fatto bene a non tacere sulla rissa davanti alla sua scuola e che è stata travolta da polemiche eccessive, ben al di là delle sue intenzioni: come capita a chi viene coinvolta in una disputa che si vuole a tutti i costi, perché altrimenti ci sarebbe il nulla: e non vale neanche la pena di volare, perché dietro la collina, oggi non c’è niente da scoprire. Ma spero di sbagliarmi.

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