I paradossi economici e finanziari italiani: una manovra da 4 miliardi prevista dal Governo, crea scintille e tensioni al punto di minare la stabilità dell’esecutivo; mentre in silenzio le famiglie si sobbarcano la spesa annuale di 12 miliardi per l’assistenza dei propri cari malati tenuti in casa.
Forse può essere un buon esempio per dimostrare come tra Paese reale e quello della politica – quest’ultimo sempre più euforizzanto dalle cronache mediatiche – ci sia un abisso. Il caso della spesa socio-sanitaria (42 miliardi l’anno di cui il 25% a carico delle famiglie, ossia 12 miliardi: 3 manovre finanziarie) è un emblema degli sforzi che provengono dal “basso” senza clamori e, soprattutto, senza il rutilante tam tam degli invadenti talk show televisivi (oggi diventati una sorta di fiction da intrattenimento per non risolvere nulla), mentre il chiasso politico e le risse Tv fanno grancassa, in Italia gli anziani e i malati cronici sono in drastico aumento, e quindi anche i costi sociali legati alla spesa che ha subito una impennata clamorosa, con un peso notevole che cade sulle spalle delle famiglie.
I numeri sono presenti nel dettagliatissimo report della Fondazione “Gimbe”, di Bologna presentato giovedì scorso al 76/mo Congresso Nazionale Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (Fimmg). Già il titolo è una bella sintesi del problema: “Tendenze demografiche e nuove povertà”. Tuttavia, a parte i soldi, c’è una evidenza chiara nella analisi della fondazione, ossia: “Non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale”.
Oggi, infatti, gli sforzi delle famiglie non sono riconosciuti, l’assistenza è tenuta nettamente separata dalla sfera “sanitaria”, relegandola al capitolo sociale. In questo modo si tagliano fuori, ad esempio, il pur minimo riconoscimento ai carengiver per l’impegno messo in una assistenza a pazienti che è per lo più di natura sanitaria.
Entrando, invece, nel merito della spesa, i 42 miliardi stimati dagli analisti del “Gimbe”, sono così ripartiti: 513,6 milioni del Fondo Nazionale per la non autosufficienza; almeno 435,5 milioni dei Fondi regionali per la non autosufficienza; 4 miliardi dai Comuni; quasi 28 miliardi di prestazioni Inps che includono pensioni di invalidità, prestazioni assistenziali, indennità di accompagnamento, pensioni agli invalidi civili e permessi retribuiti; infine 12 miliardi a carico delle famiglie.
Questi ultimi sono i soldi della spesa sanitaria per le cure a lungo termine e includono l’insieme delle prestazioni erogate a persone non autosufficienti che, per vecchiaia, malattia cronica o disabilità mentale, necessitano di assistenza continuativa.
Una assistenza che se fosse a carico dello Stato manderebbe in tilt conti i bilanci delle Asl e di qualsiasi Governo. A capire meglio cosa accade è il lavoro fatto dalla Fondazione Bolognese che entra anche nel merito della ripartizione dei 12 miliardi a carico delle famiglie, “in questa voce rientrano 5 miliardi di servizi regolari di badantato, 4 miliardi di costi indiretti per mancato reddito dei caregiver e 3 miliardi di spese aggiuntive out of pocket”. Cifre a cui va aggiunta la spesa per le badanti irregolari (compresa tra 6 e 10 miliardi).
A spiegare problemi e possibili soluzioni è Nino Cartabellotta, presidente Gimbe, “I bisogni sociali”, fa presente, “condizionano la salute delle persone, quindi è fondamentale integrare la spesa sanitaria con la quella sociale di interesse sanitario”, per il presidente della Fondazione, è urgente, “costruire un servizio socio-sanitario nazionale”.
La situazione attuale, infatti, rischia di creare nuove povertà con le famiglie sempre più sovraesposte economicamente, mentre se cedono le famiglie si aprirebbe una carenza di assistenza per pazienti che vanno costantemente seguiti. Sarebbe in fondo una eutanasia per molti malati.
“Se formalmente” , osserva Nino Cartabellotta, “i livelli essenziali di assistenza dovrebbero essere integralmente coperti dalla spesa pubblica, tutte le forme di assistenza socio-sanitaria: domiciliare, territoriale, residenziale e semiresidenziale; vengono finanziate prevalentemente dalla spesa sociale di interesse sanitario. In altre parole, i servizi assistenziali destinati alla Ltc (lungo degenza) escono dal perimetro della spesa sanitaria, sfuggendo a tutte le analisi che non considerano la spesa sociale di interesse sanitario”. La proposta della Fondazione, invece, permetterebbe di ottimizzare l’uso del denaro pubblico e migliorare i risultati sulla salute.
“Evidenze scientifiche e dati dal real world”, sottolinea ancora Cartabellotta, “dimostrano che non può esistere assistenza sanitaria senza assistenza sociale: di conseguenza è indispensabile avviare una profonda revisione delle modalità attuali di finanziamento, organizzazione, erogazione e monitoraggio dell’assistenza socio-sanitaria, al fine di integrare la spesa sanitaria con quella sociale e pervenire, nel medio termine, alla definizione di un fabbisogno socio-sanitario nazionale”.