giovedì, 18 Aprile, 2024
Economia

Sprechi costano 200 miliardi. P.A. pagamenti più veloci ma il debito sale a 52 miliardi

La Pubblica amministrazione pur accorciando i tempi di pagamento vede crescere il livello dei debiti.
Un costante aumento che segnala come l’inversione di rotta – il tanto annunciato mettere sotto controllo il debito pubblico – non è affatto visibile all’orizzonte. A rivelarlo nella sua puntuale analisi è il Centro studi della Cgia di Mestre, che pone in evidenza gli sforzi e, soprattutto, le difficoltà
legate al rutilante costo della Pubblica Amministrazione.

Tempi accorciati
La buona notizia c’è ed è il calo dei tempi di pagamento, che per le imprese erano insostenibili, (in alcuni casi con aziende arrivate al fallimento malgrado potevano vantare crediti verso la Pa), quindi di un taglio delle attese a vantaggio dei fornitori; ma dall’altro resta il peso dei debiti commerciali, che invece, sono in costante aumento arrivando a toccare i 52 miliardi di euro. Un importo che, segnala il Centro studi, include la parte corrente, ma non quella in conto capitale che, da una stima approssimativa, che la Cgia di Mestre definisce “spannometrica”, ammonterebbe ad altri 6/7 miliardi di euro.

Il rebus dei debiti
Come mai, nonostante i ritardi di pagamento stiano scendendo, il debito complessivo continua a crescere ? Perché molti pagamenti continuano a non essere ancora eseguiti; pertanto, questi insoluti vanno ad aumentare lo stock di debito accumulatosi negli anni precedenti. “Secondo i dati presentati la settimana scorsa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ad esempio”, calcola la Cgia, “l’anno scorso la nostra PA ha ricevuto dai propri fornitori fatture per un importo complessivo pari a 152,7 miliardi di euro, ma ne ha pagati 142,7, concorrendo ad aumentare il debito commerciale di altri 10 miliardi di euro”.

Peggiori in Europa
Secondo l’Eurostat, negli ultimi anni il debito commerciale di sola parte corrente della nostra PA continua a crescere. Se nel 2017 era pari a 45,2 miliardi, l’anno successivo è salito a 46,9, per toccare i 48,9 miliardi nel 2019. L’anno scorso, infine, si è attestato a 51,9 miliardi di euro; rapportando questi mancati pagamenti al Pil nazionale, in Italia l’incidenza si attesta al 3,1 per cento: dato peggiore fra tutti i 27 Paesi UE. Tra i principali competitor commerciali dell’Italia, c’è la Spagna che presenta un 0,8 per cento (in termini assoluti il debito è pari a 9,5 miliardi di euro), la Francia l’1,4 per cento (33,2 miliardi di euro) e la Germania l’1,6 per cento (54,2 miliardi di euro).

Inefficienze da 200 miliardi
Allargando il tema, su debiti che lo Stato contrare e i mancati introiti del fisco, per l’infinità storia dell’evasione di contribuenti infedeli, si arriva al paradosso. Stando ai dati del ministero dell’Economia e delle Finanze, l’evasione fiscale in Italia è stimata in circa 110 miliardi di euro all’anno. Un importo definito: “paurosamente elevato” che rappresenta un danno enorme per lo Stato, per le iniziative che potrebbero essere realizzate, e soprattutto sul piano etico uno schiaffo ai contribuenti onesti. Quindi per dirla con le parole della Cgia l’evasione non può essere un alibi, ma un paradosso si. Perché l’evasione, comunque, appare decisamente inferiore agli oneri che i cittadini e le imprese subiscono in virtù degli sprechi, degli sperperi e delle inefficienze presenti nella nostra Pa. Scorrendo i risultati di alcuni studi, il danno economico in capo ai contribuenti italiani sarebbe di oltre 200 miliardi di euro all’anno.

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