venerdì, 19 Aprile, 2024
Economia

Corte dei Conti: pensione a 64 anni, 2.8 l’assegno sociale

Sulle pensioni si moltiplicano le ipotesi di riforma. Il tempo stringe, ma le soluzioni non sono ancora sul tavolo del premier Draghi. C’è il tema della fine di Quota 100, (62 anni d’età e 38 di contributi); c’è la proposta del presidente dell’INPS, Tridico. Un sistema articolato, che prevede la “doppia uscita”. In pensione a 62-63 anni con il sistema contributivo, con uno scalone di 5-4 anni che permette poi di ricalcolare l’assegno pensionistico a 67 anni seguendo i criteri del sistema retributivo. L’ipotesi trova lo sbarramento dei sindacati.

“Ci opponiamo all’introduzione di sistemi penalizzanti nel calcolo dell’importo della pensione”, sostengono i segretari di Cgil, Cisl e Uil, “non ci piace l’ipotesi di spacchettare in due l’assegno come propone Tridico”. In questa posizione di stallo si è inserita, la Corte dei conti. I giudici contabili hanno posto in evidenza nell’annuale rapporto sulla spesa previdenziale come dal 2012 al 2020 – arco temporale di riferimento della riforma Fornero -, il sistema delle deroghe ha portato ad oltre 711mila pensionamenti anticipati, fra i quali  le salvaguardie degli esodati.

A questo calcolo pur togliendo i 79.260 assegni liquidati nello stesso periodo con lo strumento dell’Ape sociale e dell’Ape volontario, questi trattamenti hanno pesato per il 18,7% sul totale delle pensioni erogate, picco del 33,7% nel biennio scorso in scia a Quota 100, – quasi il triplo del +12% registrato fino al 2018 -. Fuori da calcoli e percentuali, la Corte dei conti osserva con preoccupazione come: nei prossimi due anni l’andamento della spesa previdenziale “potrà rappresentare un rilevante elemento critico per i conti pubblici”, si legge nel rapporto. In altri versi una indicazione chiara c’è: trovare presto una intesa e una sintesi.

Ora Inps e Ministero del tesoro valutano una indicazione che i Giudici contabili hanno posto nel rapporto. Ossia: “costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro”. Gli analisti di sistemi pensionistici danno questa versione.

“È un aspetto, quello dell’età di possibile uscita dal lavoro prima dei 67 anni – attuale requisito per la pensione di vecchiaia -, che sarà di crescente rilievo; infatti, ai lavoratori in regime pienamente contributivo la legislazione vigente già garantisce la possibilità di andare in pensione a 64 anni,se con 20 anni di anzianità contributiva e un assegno di importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale”. È una idea già maturata nei mesi scorsi, finita sul tavolo dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo.
C’era il livello minimo dell’assegno necessario abbassato a 2,5 volte la pensione sociale, che nella nuova versione avrebbe un ritocco per arrivare a 2.8. Oggi appare la strada più percorribile per uscire almeno tre anni prima della soglia di vecchiaia dei 67 anni, e sarebbe esclusivamente quella “contributiva” per tutti, lavoratori con carriere “miste”, quindi in parte retributive, inclusi. La via contributiva sarebbe la migliore considerando il minor impatto sui conti. Ogni scelta, infatti, dovrà essere valutata in base all’impatto che avrà sui costi.
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