venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

Davigo: “Commissione inopportuna. I magistrati incapaci di fare politica”

Piercamillo Davigo dice la sua. Dubbi sulla Commissione parlamentare proposta da Cassese, no alla separazione delle carriere e alle porte girevoli dei magistrati in politica, nessuna scorciatoia per i “fuori ruolo”.

In Italia si è riaccesa la discussione sui rapporti tra politica e giustizia, tanto che, a luglio 2020, è stata presentata una proposta di legge istitutiva di una commissione di inchiesta che ha già riscosso un certo consenso da parte di alcune forze parlamentari, come quello della ministra Gelmini o dell’onorevole Giachetti. Anna La Rosa ha voluto sentire il parere di Piercamillo Davigo ex membro togato del Consiglio superiore della magistratura.

Presidente, cosa pensa della proposta di Sabino Cassese, di istituire una commissione parlamentare di inchiesta sull’uso politico della giustizia? Potrebbe confliggere con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura?
Per prima cosa non c’è dubbio che ciascuna delle Camere, ai sensi dell’art. 82 della Costituzione, possa disporre una commissione di inchiesta su temi di pubblico interesse, con i poteri e i limiti dell’autorità giudiziaria. Quindi, per cominciare andrebbero articolati i fatti di pubblico interesse su cui si vorrebbe indagare. La proposta mi sembra talmente generica che esuli dai limiti dell’autorità giudiziaria, non si può investigare sull’universo mondo. In secondo luogo, non tutto ciò che si può fare è opportuno farlo. Il nostro Parlamento – lo dico per l’amore che provo per il nostro Paese e le sue istituzioni – purtroppo si è già ricoperto di ridicolo in passato con delle deliberazioni che hanno suscitato lo stupore di autorità sovranazionali e di altri Stati.

Presidente che pensa del fatto che tanti magistrati vengano distaccati presso il Ministero e poi dopo tanti anni di fuori ruolo, anche per incarichi politici, ritornano alle loro funzioni, questo non la scandalizza?
Mi scandalizza eccome. Mi rendo conto che certi incarichi sono previsti dalla legge, quindi non è possibile non mandare i magistrati a ricoprirli né è previsto che possano ricoprirli dei funzionari. Per esempio, l’ispettorato generale del ministero della Giustizia è un posto da magistrato per disposizione di legge. Ci sono altri posti dove non è sindacabile da parte del Consiglio Superiore la richiesta, ad esempio il giudice assistente della Corte costituzionale o i capi degli uffici legislativi di stretta collaborazione, quindi lì i magistrati devono essere mandati. Il rimedio che è stato adottato – o quanto meno fintanto che io ci sono stato si è cercato di adottare – è di non consentire corsie preferenziali a chi veniva dai “fuori ruolo”, perché non si tratta, come qualcuno mi ha contestato, di danneggiare questa categoria di magistrati, ma di non fornirgli scorciatoie, perché i “fuori ruolo” sono al riparo dei guai, non incorrono in sanzioni disciplinari, questo è il problema, che almeno non passino davanti a chi è rimasto al proprio posto. I “fuori ruoli” sono molti, molti più di quanti dovrebbero essere secondo me.

Le candidature politiche come si collocano?
Trovo intollerabile le porte girevoli tra magistratura e politica, nel senso che ci sono alcuni magistrati che si candidano alle elezioni – e questo la legge lo consente e probabilmente non si potrebbe, senza violare la Costituzione, limitare l’elettorato passivo – ma quello che si può fare è di pretendere che chi sceglie la strada della politica imbocchi una strada senza ritorno. 

Mi sembra di capire che ci stiamo muovendo in questa direzione, anche il ministro della Giustizia si è pronunciato favorevolmente…
Tra l’altro la legge elettorale lascia davvero perplessi. Per esempio non consente di rilevare incompatibilità nelle elezioni a sindaco. Uno può tranquillamente candidarsi nel distretto in cui è stato insediato, a me questo stupisce. Non serve la commissione di inchiesta per cambiare queste leggi. Si legge sui giornali che queste cose accadono, basterebbe volerlo fare.

Per fare un esempio concreto, cosa pensa del percorso, prima in magistratura e poi in politica, di De Magistris, ora anche candidato in regione Calabria, dove ha svolto funzioni importanti e indagini delicate?
De Magistris non è più magistrato, questo è il punto decisivo. Se uno lascia definitivamente la magistratura non c’è problema. Poi io ho una mia opinione personale, che non riguarda i singoli, perché ci sono sempre le eccezioni: in linea generale i magistrati non sono capaci di fare politica, proprio come forma mentis. Infatti sono rari i magistrati che sono bravi politici.

Secondo lei perché?
La ragione è che il modo di pensare è radicalmente diverso. Un politico ragiona nei termini di alleato/avversario, un magistrato penalista ragiona nei termini di colpevole/innocente, un magistrato civilista nei termini di torto/ ragione. Inoltre, entrambe le categorie di magistrati, civilista e penalista, ragionano nei termini di legittimo/illegittimo, un politico in termini di utile/dannoso. Non voglio dire che uno sia meglio dell’altro, sono parametri concettuali diversi. Dopo che uno per anni, decenni, ragiona in termini di colpevole/innocente, legittimo/illegittimo come può pensare in termine di utile/dannoso, avversario/alleato?

Cosa pensa della separazione delle carriere, è lì la soluzione?
Assolutamente no, è la cosa peggiore che si possa fare all’ordine giudiziario. In primo luogo, il Consiglio di Europa, con la raccomandazione n. 19 del 2000, ha proposto il modello italiano come quello che tutti i 47 stati d’Europa dovrebbero adottare. In secondo luogo, separare le carriere, cioè togliere il Pubblico Ministero dall’unico Ordine che oggi esiste, vorrebbe automaticamente farne saltare l’indipendenza.

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