Il ciclo di produzione e di consumo della carne ha dei costi ambientali e sanitari che gravano sull’intera collettività. Si tratta di “costi nascosti” non conteggiati nel prezzo dei prodotti.
Uno degli obiettivi prioritari stabiliti nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è ridurre le emissioni di CO2, per arrivare a un loro azzeramento nel 2050.
Organismi autorevoli hanno sottolineato l’importanza di agire tempestivamente, intervenendo anche sul consumo di carne, la cui produzione determina l’innalzamento di CO2 nell’aria.
Nel 2019, con il rapporto Global Warming of 1.5, l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) ha sottolineato quanto sia indispensabile, per evitare danni irreversibili, ridurre del 45% le emissioni globali di anidride carbonica entro il 2030, e azzerarle entro il 2050. Ricordando anche che è decisivo il passaggio a comportamenti alimentari caratterizzati da una minore percentuale di alimenti di origine animale.
IMPATTI SU AMBIENTE E SALUTE
Lo studio Il costo nascosto del consumo di carne in Italia: impatti ambientali e sanitari, realizzato da Demetra, società di consulenza in ambito di ricerca scientifica sulla sostenibilità, per conto di Lav – Lega Anti Vivisezione, ci svela i costi nascosti di questo alimento, focalizzandosi sulle carni più diffuse in Italia (bovina, suina, avicola).
Sono stati misurati gli impatti ambientali e sanitari e le emissioni legati alla produzione di carne, al fine di fornire una loro stima economica in termini di danni.
L’analisi riporta le statistiche sulla produzione, sul commercio e sul consumo di carne in Italia e sul consumo pro capite per i differenti tipi di carne: il numero di animali macellati nel nostro Paese ogni anno è di quasi 600 milioni di individui, con un costo nascosto collettivo di circa 36,6 miliardi di euro all’anno, pari a 605 euro per ogni singolo residente.
Si legge nel rapporto che “100 g di pollo corrispondono a un danno economico per la collettività di 50 centesimi; 100 g di maiale corrispondono a 1 euro, mentre sia i salumi che il bovino, giungono a 1,90 euro di costi aggiuntivi per la collettività”.
Relativamente ai costi ambientali, da un’analisi LCA (Life Cycle Assessment) è emerso che “il ciclo di vita di 1 kg di carne di bovino fresca genera un impatto ambientale riassumibile in un costo per la società di 13,5 €, mentre 1 kg di maiale, a seconda della lavorazione, varia tra i 4,9 e i 5,1 € e il pollo grava sulla collettività per 4,7 € al kg. In un anno, le emissioni associate al ciclo di vita della sola carne bovina consumata in Italia equivalgono a oltre 18 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, per un costo nascosto annuale di oltre un miliardo di euro”.
Per quanto riguarda i soli costi sanitari, si stima che “circa 350.000 anni di vita (corretti per disabilità) vengano persi ogni anno in Italia a causa del consumo di carne”.
ABITUDINI E POLITICHE DA CAMBIARE
Negli ultimi anni gli italiani hanno mostrato maggiore attenzione per un’alimentazione sana e rispettosa dell’ambiente, riducendo il consumo di carne, mostrandosi più scrupolosi nella valutazione degli ingredienti contenuti nei cibi e del packaging utilizzato per conservarli.
Modificando il nostro comportamento a tavola e rendendolo più consapevole e sostenibile, possiamo agire sul clima, sull’ambiente, tutelare la biodiversità e gli animali.
Come ricordato da Roberto Bennati, Direttore Generale LAV, “la produzione di 100 g di legumi costa alla collettività, in termini di impatti ambientali e sanitari, circa 5 centesimi di euro, contro 1,9 € della carne bovina e dei salumi. Le proteine vegetali sono un’alternativa sana e di bassissimo impatto ambientale”.
La condotta individuale, però, da sola non basta. Per incoraggiare questa transizione è necessario che politiche nazionali ed europee agevolino la diffusione delle proteine vegetali in alternativa a quelle animali.