venerdì, 19 Aprile, 2024
Politica

Bertolaso, il “Guazzaloca” di Roma, evidenzia i mali del centro-destra. Eccoli

Su “Il Giornale” di oggi c’è un importante endorsement di Nicola Porro. Riguarda Guido Bertolaso. Tutte osservazioni positive, legate alla statura, alla preparazione e competenza del personaggio. Del resto, la sua vita parla chiaro: laureato in medicina, specializzato in malattie tropicali, ha lavorato a lungo nei Paesi in via di sviluppo per il ministero degli Esteri e per l’Unicef. E’ stato responsabile della Protezione civile per ben due volte: la prima dal 1996 al 1997, nominato da Romano Prodi; e la seconda dal 2001 al 2010, nominato da Silvio Berlusconi.

Che differenza rispetto al curriculum vitae di altri politici che ricoprono incarichi istituzionali o degli stessi candidati per Roma.

Ma il tema è proprio questo. Porro pone una questione non da poco: Bertolaso sarebbe “perfetto per un centro-destra di governo”. Come dire, da Roma a Palazzo Chigi. Una riflessione molto più solida e più avanti.
Quindi, un tecnico, trasversale, senz’altro più vicino al mondo moderato che di sinistra, come possibilità di conquistare quel consenso maggioritario che il trio Salvini-Meloni-Berlusconi, al momento, stentano a riprendersi.

Ed è la ragione per cui, sia il Capitano, sia la leader di FdI, non gradiscono tale scelta. Al di là delle parole di circostanza (buona candidatura, abbiamo anche altri nomi, stiamo pensando pure alla squadra etc), la difficoltà è evidente.

Perché Bertolaso mette a fuoco, porta in superficie i due gravi vulnus del centro-destra. Primo: la ricomposizione di uno schieramento che dalla trazione berlusconiana (dal 1994), il primato del liberismo, dell’anticomunismo, con un Dna ultra-garantista, anti-statalista, anti-burocrazia, filo-europeista etc, gradualmente con l’avanzata trionfante sia nel mondo (la Brexit, Trump, i partiti euroscettici in Europa), sia in Italia (la leadership di Salvini, col suo punto di massimo consenso, durante il governo gialloverde), è diventato sovranista (dal 2016 in poi); e che ora sta tornando non senza traumi, a una collocazione antica, più classica (l’era del post-sovranismo).

È così che si legge la recente strategia di Salvini, di spostamento verso il centro, di Lega popolare, di avvicinamento al Ppe, e l’ipotesi di un governo dei volonterosi o del presidente, che ci traghetti meglio verso la scadenza della legislatura, condizionata dall’emergenza sanitaria. Suscitando i distinguo velenosi di Giorgia Meloni, più fedele a un’ortodossia di ricambio naturale e parlamentare dopo il voto.

Insomma, Bertolaso non sarebbe soltanto un nome spendibile per Roma, modello-Guazzaloca, ma una formula per tornare al governo del Paese. Un centro-destra non più soltanto sovranista, ma di nuovo aziendalista, moderato, liberale, guidato da un tecnico capace di rappresentare quei ceti centristi (oggetto dell’interesse di Renzi, Calenda e dello stesso Conte, che perseguono un fine speculare: un nuovo Ulivo allargato di centro-sinistra), dispersi col frantumarsi del ruolo aggregante del Cavaliere.

Secondo vulnus, la classe dirigente. Porro schiude un decennale vaso di Pandora. L’incapacità di selezionare una classe dirigente degna del nome. Il centro-destra va forte all’opposizione, magari vince alle urne, ma non riesce a governare a lungo.

Perché Lega e FdI hanno votato sì al referendum sul taglio dei parlamentari? Unicamente per non lasciare lo scettro antipolitico e populista a Di Maio? Per moralizzare la vita pubblica, vecchia idea e vecchia battaglia di Almirante? Un sì, tra l’altro ambiguo: qualcuno ricorda la frase sibillina della Meloni, “se vince il no cade il governo”? Per obiettivi opposti: la mancanza assoluta di personale con cultura istituzionale e di governo. Meglio avere batti-tacchi e spingi-pulsanti in Aula, meglio avere deputati e senatori che seguono militarmente gli ordini di scuderia delle segreterie e dei capi-gruppo, che parlamentari intelligenti e liberi. Ma soprattutto preparati.

Questo è il motivo principale per cui la nomenklatura dell’attuale centro-destra non gradisce Bertolaso. Potrebbe aprire un nuovo percorso virtuoso, molto più coerente con un centro-destra di governo, e non velleitario. Buono per i social, ma poco per gli italiani.

(Lo_Speciale)

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