giovedì, 28 Marzo, 2024
Attualità

Quell’allegro Natale di sessant’anni fa

Come potrei mai dimenticare il Natale del 1960? Avevo compiuto da poco sette anni. Con i miei amici, tutti ragazzini di Pizzo Falcone, incominciavamo a familiarizzare con le dieci, venti e qualcuno anche con le cinquanta lire. A dire il vero, non è che durassero molto. Le facevamo subito girare, tanto per rinvigorire l’economia del paese. Ci compravamo caramelle, confetti e cioccolatini. Alcune volte riuscivamo a mettere qualcosina da parte, per le figurine di calciatori o per le macchinine di plastica. Quelle che servivano ad accrescere, con gli amichetti di Via Venita, il nostro parco auto di Fiat, Lancia o Alfa Romeo.

La nostra maestra, la Signorina La Raia, sebbene fossimo alle prime armi nel leggere e scrivere, ci insegnò a confezionare una bella letterina per Babbo Natale. Una paginetta di poche righe, da mettere di nascosto, sotto il piatto di mamma o papà. È vero: serviva a rinnovare le promesse di disciplina e ubbidienza, ma noi badavamo un po’ più al sodo. La utilizzavamo per uno scopo ben preciso perché sapevamo che soprattutto le nostre mamme non ci avrebbero mai fatto mancare, nel giorno più magico e bello dell’anno, un pensierino in moneta. E così, come nelle case, anche in paese si respirava un’ aria più frizzante del solito.

Si stava, grandi e piccini, in trepida attesa di un qualcosa che di lì a poco, ci avrebbe cambiato la vita. Ma non di un virus si trattò, bensì di un gas. Fu il metano. Con tutti i suoi giacimenti disseminati lì in Val Basento, fu subito percepito e vagheggiato come il treno della nostra storia. E infatti, di lì a pochi mesi tutti incominciarono a sognare. I giovanotti che con i primi stipendi volevano farsi la cinquecento. Le mamme che con i soldi guadagnati dai mariti volevano comprarsi la televisione e il frigorifero.

I papà che aspiravano a case nuove, più grandi, magari con doppi servizi, cameretta per bambini più garage e ascensore. Le ragazze, quelle più ambiziose e studiose sognavano di diventare maestre o professoresse, mentre i maschietti tutti a immaginarsi avvocati, medici o ingegneri. E a noi bambini chi ci pensava? Per fortuna esisteva Babbo Natale. Ricordo perfettamente che dopo aver recitato la poesia, in piedi sulla sedia, ricevetti anch’io una bustina. Me la consegnò mia madre, anche a nome di mia zia e di mia nonna che vivevano con noi. Il tempo di aprirla e vidi che dentro c’era una fortuna: una banconota da…..mille lire.

E pensare che da noi venivano gli ambulanti da Bari e da Napoli a vendere sette candele per cinquanta lire. Il martedì e il venerdì i pescivendoli da Taranto venivano a vendere, nella piazza della verdura, un chilo di alicette a 100 lire. Alcune vecchiette andavano da “cumba” Pasquale Francione, nella sua bottega di “Alimentari e Diversi” a comprare 10 lire di salsa o 20 lire di mortadella. Quante caramelle, gelati e macchinine avrei potuto comprare con mille lire. E allora voi capite con quanta tristezza ci tocca leggere, in quest’anno disgraziato, notizie come questa: “Partiti da Milano e dalla Lombardia oltre duecentomila meridionali per trascorrere al Sud un Natale senz’allegria”.

Eh sì! Perché un Natale così asettico, distanziato, sanificato e per giunta senza abbracci, baci e carezze almeno ai nipotini, che Natale è? Non si può giocare a tombola, non si può cantare, non si può uscire, non si può andare al circo. Non è tanto il cenone o il pranzo  quello che ci manca. Del Natale ci manca la sua anima, l’atmosfera, la sua magia. È questo maledetto virus che ce le vuole rubare. Dice bene Papa Francesco: sarà un Natale più semplice, raccolto e meno consumista. Però, il nostro passato non è una terra straniera. È dentro di noi, fa parte di noi. I ricordi, diceva Charles Dickens, sono come le candele. A Natale, bruciano di più.

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