giovedì, 28 Marzo, 2024
Politica

Il Mes, l’ultimo totem dei 5 stelle

L’ideologia fa brutti scherzi. Quando l’abbraccio sembra che ti faccia volare pieno di certezze dandoti la sensazione di essere superiore agli altri, ma poi diventa un cappio al collo che ti impedisce di mandare l’ossigeno dell’intelligenza critica al cervello. Le verità assolute diventano una benda che non ti fa vedere quello che sai che esiste ma che devi negare per ossequio alla sacralità dell’ideologia. Basta pensare a cosa è stato il marxismo, nelle sue varie declinazioni per il partito comunista: anche i suoi migliori esponenti come Giorgio Amendola, figlio del liberale Giovanni, non riuscivano ancora alla fine degli anni Settanta, a liberarsi dell’anticapitalismo preconcetto del marxismo. Tant’è.

Nel caso del partito dei 5 Stelle non c’è una ideologia strutturata che fa da muro alla comprensione della realtà. C’è una sorta di totemismo, una pratica di ossequio ad insieme di totem che i 5 Stelle si sono costruiti seguendo la predicazione di Grillo e le pulsioni manichee del populismo. In antropologia i totem sono delle entità naturali o soprannaturali che hanno un significato più simbolico che reale e costituiscono il cemento identitario per una tribù che si lega ad essi per tutta la vita.

I totem dei 5 Stelle sono stati una serie di NO e un SI. I No erano contro TAV, TAP ILVA e MES. Il Si era quello per il salvifico reddito di cittadinanza che doveva sconfiggere la povertà.

Travolti dalla vittoria elettorale del 2018 i 5 stelle sono stati costretti a governare e a confrontarsi con la realtà. Così hanno scoperto che quei totem erano simulacri ingannevoli di cui era necessario liberarsi non senza pagare il prezzo di spaccare la comunità di coloro che ci avevano creduto. Così, uno alla volta, sono caduti i vari No e la linea ad alta velocità TAV, il gasdotto TAP, e l’acciaieria ILVA stanno lì dove dovevano stare.

Perfino il reddito di cittadinanza non è più considerato intoccabile e bisogna dare atto a Di Maio di aver avuto il coraggio di ammettere che la presunta riforma antipovertà non ha avuto gli effetti sperati. 

L’ultimo totem rimasto è il No al MES. Sul Blog delle Stelle il 5 Aprile 2017 veniva pubblicato il programma elettorale approvato sulla piattaforma Rousseau che prevedeva “lo smantellamento del MES”. Un progetto bellicoso che durante l’anno di governo con la Lega si è nutrito del fieno antieuropeista di Salvini. Ma poi la maggioranza è cambiata, i 5 Stelle hanno votato per Ursula von der Leyen e Conte li ha convinti, un anno fa, a porre un veto alla riforma del MES ma senza chiederne lo smantellamento. Nel frattempo il famigerato MES in piena pandemia ha messo a disposizione dell’Italia 37 miliardi: restituiti in 7 anni ci costano meno di quel che prendiamo, ripagati in 10 anni ci costano almeno 300 milioni in meno di quello che pagheremmo prendendo a prestito gli stessi soldi con i titoli di Stato. Il tutto senza le condizioni stringenti che il MES applica quando uno Stato è in difficoltà finanziarie. Il totem anche questa volta ha impedito di vedere la realtà e i 5 Stelle hanno proclamato il No a questi 37 miliardi concessi alla sola condizione di essere spesi per la sanità. Ridicolo l’alibi: abbiamo già 209 miliardi dall’Europa e ci bastano. Quindi da questi dobbiamo quindi togliere i 37 da dedicare alla sola sanità e così per il piano di ripresa e resilienza potremo usare 172 non 209 miliardi. 

Un’assurdità. In ogni caso Il veto alla riforma del MES non poteva durare all’infinito e domani il Governo chiederà che una maggioranza relativa di deputati e senatori lo autorizzi a toglierlo. Che fare? Di Maio ha capito che il totem anti-MES va abbandonato anche perché il suo oppositore Di Battista spalleggiato da Casaleggio usano questo tema per far saltare il Governo e con esso la leadership sostanziale del Ministro degli Esteri.

Per i 5 Stelle siamo all’epilogo della caduta degli dei, pardon, dei totem. Un segnale di maturazione forzata dagli eventi ma pur sempre tale. Meglio tardi che mai.

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