venerdì, 26 Aprile, 2024
Manica Larga

E se domani: rifare un Paese (e l’Europa) dopo il Covid

Qual è la cura per un Paese malato? Ah, saperlo… Certo, la cultura gioca un ruolo importante: le persone con le loro diversità sono e fanno la differenza, come pure ci ricorda l’arcobaleno, inno alla gioia, simbolo di ottimismo e speranza in questo infausto 2020. 

E poi c’è la visione, che da sola però non basta: deve saper scaldare i cuori. Ne sono una dimostrazione le critiche giunte, sull’Economist, al neoleader dei Labour, Keir Starmer, definito da un veterano del partito come: “tecnocratico, nasale e noioso.” Il motivo? Ancora non ha condiviso una visione per il Paese dopo il Covid e nel post-Brexit. Un peccato capitale in tempi in cui abbiamo bisogno di sapere cosa saremo.

Il problema sembra dunque essere l’identità. E in effetti, quello che traspare in controluce, è una crisi d’identità che toglie aria e spazi di azione. Basti pensare all’assenza di un dibattito pubblico sul rilancio del Paese e, più in generale, del progetto europeo. 

Infatti, è scendendo più in profondità del semplice piano comunicativo che s’intravede, più in generale, uno scollamento tra gli ideali che hanno portato alla nascita dell’Unione, fondata da ferventi cattolici, e quello che questo progetto è diventato, assente di solidarietà in un momento cruciale come quello rappresentato dalla pandemia. Si tratta di un fiume carsico molto pericoloso, come abbiamo avuto modo di toccare con mano attraverso l’esplosione dei populismi in giro per il mondo.

Cosa fare, dunque, e come? Ripartire dal basso, ripartire da noi. Un modo potrebbe essere, per esempio, quello di ripartire dal fare impresa. Come ha sostenuto in un recente articolo Dale G. Caldwell, Professore e Direttore Esecutivo del Rothman Institute of Innovation and Entrepreneurship della Fairleigh Dickinson University, l’attuale polarizzazione del dibattito politico è il riflesso di una spaccatura sociale profonda che mina alle fondamenta il processo democratico. Sorprendentemente però, facendo riferimento alle ultime elezioni americane, se c’è un punto in comune tra i sostenitori di Biden e quelli di Trump è la consapevolezza che “le piccole imprese  sono uno dei motivi per cui gli Stati Uniti sono diventati il paese più ricco nella storia del mondo. Le piccole imprese che assumono residenti locali sono state la spina dorsale delle economie locali, delle grandi città, dei piccoli sobborghi e delle fattorie rurali”, scrive.

Tuttavia fare impresa non basta: occorre dibattito politico. Se da un lato è vero che gli imprenditori sono un vero e proprio collante sociale, dall’altro è altrettanto vero che la debolezza della politica soprattutto a livello locale rischia di vanificare questa funzione. Secondo una recente ricerca, realizzata da Piotr Daniewicz dell’Università di Bristol e Steven Ongena dell’Università di Zurigo, se a sostegno della partnership pubblico-privato, richiesta da questi tempi straordinari, viene a mancare una rappresentanza plurale, sviluppata a partire dai territori attraverso il confronto politico tra forze di governo e forze di opposizione, qualsiasi contributo monetario avrà solo un effetto palliativo.

Il problema di fondo quindi è la distanza, perché a ben vedere l’identità di un popolo e il suo cammino sono questione di diversità che vanno integrate per essere tenute insieme. In altri termini, per essere forte la politica deve essere strada, non legge della strada.

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